È diventato un cult in Italia, ma Gomorra, la serie prodotta da Sky, con Fandango e Cattleya in associazione con Beta Film, si sta togliendo più di qualche soddisfazione anche in giro per il mondo. L’ultima, in ordine di tempo, viene direttamente dal Festival della Tv di Monte Carlo, con la serie tratta dal libro di Roberto Saviano che ha portato a casa il premio come Best Drama TV Series e quello per il miglior attore in un TV Drama per Marco D’Amore. Un riconoscimento internazionale importante, che assume ancora più valore se si tiene conto che tra le serie nominate c’erano anche il fenomeno mondiale House of Cards e The Fall, mentre Marco D’Amore l’ha spuntata addirittura su Kevin Spacey.
Ciro l’Immortale batte Frank Underwood, Scampia batte Washington, le Vele battono la Casa Bianca. Marco D’Amore, intercettato in macchina mentre sta tornando proprio da Monte Carlo, ammette un certo piacevolissimo disagio: “Battere Kevin Spacey è intimamente imbarazzante. È un attore che ammiro tantissimo sin da quando sono ragazzo. Gli manderò un cadeau, il cofanetto della prima stagione di Gomorra”. L’attore campano, però, vuole condividere il riconoscimento con il resto della squadra: “Sulla targhetta della Ninfa d’Oro c’è il mio nome ma è un riconoscimento che premia un’intera serie. Lo abbiamo testato proprio a Monte Carlo, dove attori e registi provenienti da ogni parte del mondo ci fermavano per complimentarsi”. D’Amore, poi, è un avido spettatore di House of Cards: “La cosa che mi piace di più è la rottura della quarta parete, un espediente che era stato sdoganato dal teatro italiano del Settecento. Ma gli americani, al solito, sanno usare meglio di noi quello che noi stessi abbiamo inventato”.
Commentando il trionfo monegasco, il primo istinto è quello di rispolverare l’abusata storia biblica di Davide contro Golia, ma forse, una volta tanto, la televisione italiana può smettere i panni di Cenerentola e “tirarsela” un po’ per un prodotto di assoluta qualità, osannato dai critici di mezzo mondo. Le vicende del clan camorristico dei Savastano hanno cambiato l’approccio della serialità televisiva al tema della criminalità organizzata, che in Italia aveva già avuto i suoi momenti di gloria negli anni Ottanta con La Piovra (Rai), mentre negli ultimi tempi nessuno era riuscito a escogitare una nuova ed efficace strategia narrativa per raccontare un fenomeno ancora fortemente radicato nel nostro Paese. Gomorra è una serie senza buoni per cui fare il tifo, senza eroi. Non c’è l’equivalente contemporaneo del commissario Cattani, ma solo personaggi a vario titolo invischiati in una vita criminale fatta di tradimenti, connivenze, diffidenze e violenza gratuita.
Mai prima d’ora il mezzo televisivo era riuscito a raccontare le mafie senza filtri o espedienti narrativi troppo ingombranti, scegliendo la strada impervia (ma evidentemente azzeccata) di un realismo crudo e televisivamente più vicino alle grandi produzioni internazionali che alle fiction di casa nostra. E infatti Gomorra è stata già distribuita in 113 paesi, Stati Uniti inclusi, nonostante la diffidenza abituale degli americani per i prodotti europei. È lunghissima anche la lista dei premi arrivati nel corso dell’ultimo anno: Giornate degli Autori a Venezia 71, cinque riconoscimenti al Roma Fiction Fest, “Best Programme” agli Eutelsat 2014 e miglior serie ai tedeschi Mira Awards. Ora non resta che attendere la seconda stagione, le cui riprese sono in corso e che andrà in onda nella primavera del 2016 su Sky, in contemporanea in Italia, Regno Unito, Germania, Irlanda e Austria.