Lavoro & Precari

Jobs act, il giuslavorista: “Lavoratore resterà inerme davanti all’impresa”

Per Vincenzo Martino, vicepresidente degli Avvocati giuslavoristi italiani. i controlli a distanza previsti dalla riforma sono troppo pervasivi, le politiche attive insufficienti, il riordino dei contratti incapace di contrastare seriamente la precarietà. E "c'è il rischio che la maggior qualità dell'occupazione svanisca con il finire della decontribuzione"

“La parte debole, cioè il lavoratore, diventa inerme di fronte all’impresa. Nelle assunzioni, nei licenziamenti, con il demansionamento, con i controlli a distanza“. Dopo la pubblicazione degli ultimi decreti, c’è finalmente una fotografia completa dei contenuti del Jobs act. E gli addetti ai lavori possono esprimere un primo giudizio su tutti gli aspetti della riforma del lavoro targata Matteo Renzi e Giuliano Poletti. Vincenzo Martino, vicepresidente degli Avvocati giuslavoristi italiani (Agi), non fa sconti al pacchetto legislativo. Benché le opinioni in seno all’associazione siano diverse, il suo giudizio è netto: i controlli a distanza sono estremamente pervasivi, le politiche attive gravemente insufficienti, il riordino dei contratti incapace di contrastare seriamente la precarietà. Tutti temi che saranno sul tavolo del convegno nazionale di Agi, dal titolo “Lavoro e diritti“, che si terrà il 19 e 20 giugno alla Triennale di Milano.

“L’imprenditore potrà leggere le mail del dipendente e seguirne gli spostamenti” – Uno dei temi più caldi negli ultimi giorni è sicuramente quello dei controlli a distanza: grazie al decreto semplificazione, l’azienda potrà monitorare gli strumenti elettronici del dipendente, come computer, tablet e smartphone, senza necessità di un accordo sindacale. E usare i dati raccolti per comminare sanzioni disciplinari. “L’imprenditore – spiega Martino – potrà vedere su quali siti naviga il dipendente, leggerne le mail sul server di posta aziendale, seguirne gli spostamenti in azienda con il gps“. Un tema, quello della privacy, che non poteva non fare discutere. Da una parte c’è chi, come il senatore Pd Pietro Ichino, parla di “regole tecnicamente appropriate, che aumentano la protezione dei lavoratori rispetto alla situazione attuale”, e sottolinea “il diritto all’informazione precisa sull’uso che verrà fatto del collegamento a distanza”. Dall’altra ci sono i sindacati, che gridano al colpo di mano, ma anche l’Europa. “Ci possono essere problemi seri di compatibilità con una raccomandazione del Consiglio d’Europa“, sottolinea il vicepresidente Agi, ricordando il documento che vieta in modo assoluto di controllare “attività e comportamenti” dei dipendenti. “Si tratta di un controllo estremamente pervasivo nella quotidianità del lavoratore – prosegue l’avvocato – Uno dei presidi fondamentali dello Statuto dei lavoratori viene meno”.

“Gravemente insufficienti” le politiche attive: “C’è flessibilità ma non sicurezza” – Ma tra le ultime novità del Jobs act, grande attenzione ha richiamato il decreto sulle politiche attive, che istituisce l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal). Doveva essere il cavallo di battaglia della riforma del lavoro, ma per la piena operatività bisognerà aspettare ancora la riforma costituzionale del ministro Maria Elena Boschi. Intanto, non si risolve la contesa di competenze tra Stato e Regioni e rimangono in sospeso i lavoratori dei centri per l’impiego, in attesa di sapere da quale ente dovranno dipendere. “Questo pezzo è ancora gravemente insufficiente – ragiona Martino – Se parliamo di un modello di flexicurity, che dovrebbe coniugare flessibilità e protezione sociale, il governo ha completato la parte sulla flessibilità, ma non quella sulla sicurezza sociale. Le tutele del lavoratore nell’impresa sono diminuite in modo drastico, ma non è ancora arrivata una risposta adeguata sul piano della protezione del dipendente estromesso dal mondo del lavoro”.

Demansionamento con accordo del dipendente, “ma se alternativa è perdere il posto la scelta è obbligata” –  E a proposito di tutele diminuite, uno tra gli esempi più lampante è l’introduzione del demansionamento. Il Jobs act ha sdoganato una pratica prima vietata dall’ordinamento italiano: ora l’azienda potrà destinare il lavoratore a una mansione inferiore. “Aumenta il potere dell’imprenditore nella gestione quotidiana del rapporto di lavoro – sostiene Martino – Il demansionamento era la forma nelle quali si esprimeva più spesso il mobbing. Ora questa pratica, in parte, diventa lecita”. Se c’è l’accordo del dipendente, il demansionamento potrà riguardare essere anche di più livelli. “Ma se l’alternativa del dipendente è perdere il posto, la scelta rischia di diventare obbligata”, avverte l’avvocato.

“L’aumento dell’occupazione? Rischio che sia drogato da incentivi” – L’obiettivo dichiarato di questo pacchetto di misure era chiaro: aumentare l’occupazione e favorire il ricorso al tempo indeterminato. Gli ultimi dati Istat, relativi ad aprile, parlano di un tasso di occupazione in aumento dello 0,7% su base annua. Mentre l’Inps fa sapere che, nei primi quattro mesi dell’anno, le assunzioni a tempo in determinato sono cresciute del 31,4% rispetto al 2014. Ma questi numeri, sbandierati dal governo Renzi, non convincono tutti gli addetti ai lavori. “Mi chiedo se l’aumento dell’occupazione non sia drogato dall’incentivo della decontribuzione – spiega Martino – E mi chiedo se il contratto a tutele crescenti può essere considerato stabile, soprattutto nei primi anni, quando gli indennizzi sono molto bassi”.

“Finita la decontribuzione, i contratti a tempo determinato torneranno più competitivi” – A questo discorso si lega un altro decreto, quello sul riordino dei contratti. Che, nelle intenzioni del governo, doveva assestare un duro colpo alla precarietà. Il Jobs act ha eliminato i co.co.pro, il job sharing e l’associazione in partecipazione, ma ha lasciato praticamente intatte tutte le altre forme contrattuali, dal tempo determinato alle partite Iva. Resta da capire, quindi, se lo spostamento verso il tempo indeterminato, incoraggiato dalla decontribuzione, sia destinato a durare nel tempo. “Finito l’incentivo, i contratti a tempo determinato torneranno competitivi rispetto a quelli stabili”, ragiona il giuslavorista. “C’è il rischio che la maggior qualità dell’occupazione svanisca con il finire della decontribuzione. Non sono così certo che questo miglioramento sarà strutturale”.

“Naspi dovrà prendere il posto di tre ammortizzatori, risorse stanziate insufficienti” – Tornando agli ultimi decreti, anche il provvedimento sul riordino della cassa integrazione ha suscitato non poche perplessità. Benché il Jobs act estenda la platea di beneficiari alle piccole imprese e abbia previsto uno sconto per i contributi ordinari delle aziende, rimane da sciogliere il nodo delle coperture. “C’è un problema generale sugli ammortizzatori sociali – segnala Martino – Spariranno cassa in deroga e mobilità, la cassa integrazione per le aziende decotte sarà abolita. La Naspi dovrà sopperire a tre ammortizzatori, temo che le risorse stanziate non siano sufficienti”. L’avvertimento era stato lanciato anche da Tito Boeri, ai tempi non ancora presidente dell’Inps, che aveva parlato di un fabbisogno di 4 miliardi di euro, contro i 2,2 stanziati dall’ultima legge di Stabilità. “C’è chi è convinto – conclude il giuslavorista – che la maggiore libertà di licenziare, unita a un sistema di ammortizzatori debole e scricchiolante, porterà a un’ondata di licenziamenti“.