Cristallizza i momenti più importanti della sua carriera, analizza l’ultima stagione Nba, parla degli Stati Uniti ancora insofferenti verso gli afroamericani nonostante abbiano eletto per due volte un presidente nero. Calibra le parole e scansa le banalità. Non a caso la Nba, il più importante campionato al mondo di basket, lo ha scelto come ambasciatore. Per questo Horace Grant arriva a Milano, dove sabato e domenica verrà allestita la Nba Fan Zone in piazza Duomo aperta a tutti gli appassionati. Per chi segue la pallacanestro è l’uomo che ha vinto quattro titoli Nba, tre accanto a Michael Jordan e uno con Kobe Bryant, segnato quasi 13mila punti e raccolto oltre 9mila rimbalzi in 17 stagioni tra i pro. Ma anche chi ha visto distrattamente una partita dei Chicago Bulls o degli Orlando Magic negli Anni Novanta ricorderà un uomo in campo con occhiali stravaganti. Era lui, quello che scoprì di essere “legalmente cieco” per gli Stati Uniti dopo aver già iniziato a giocare (e dominare) in Nba. Impossibile? Lui ci ride su tra un ricordo di Jordan e un giudizio su Obama.
È stato uno dei protagonisti dei primi tre titoli consecutivi dei Chicago Bulls. Recentemente in un tweet ha scritto: “Sono contento di averne fatto parte. È come un sogno”. Se ci ripensa, quali sono i tre momenti più belli che le vengono in mente?
Per quanto riguarda il 1991, quando vincemmo per la prima volta, nella mia testa appare l’immagine di Michael che bacia quel trofeo. Molte persone lo consideravano un realizzatore solista e non credevano che potesse mai vincere un campionato. Ecco perché eravamo felici non solo per noi stessi, ma soprattutto per lui, come persona. Del 1993 mi vengono in mente gli ultimi 8 secondi di gara-6 contro i Suns: passo la palla a John Paxson per la tripla del sorpasso e subito dopo stoppo Kevin Johnson. Così vinciamo il titolo. E poi resta indelebile il grande supporto che i fan ci dimostravano. Non ho mai visto dei tifosi così in tanti anni di carriera.
Ha giocato con Jordan e Kobe Bryant: similitudini e differenze.
Sono entrambi degli agonisti sfrenati, con un’estrema passione per il gioco e un’enorme voglia di vincere. Differenze? Non tante, oltre il fatto che Jordan ha vinto sei titoli e Bryant cinque.
Ha senso fare paragoni tra Jordan, Bryant e LeBron James? Se sì, chi ha qualcosa in più degli altri?
Ha un senso perché viene naturale comparare la grandezza, e loro sono tutti grandissimi giocatori. Se devo scegliere, dico Michael. Con tutto il rispetto per Kobe e per LeBron, per tutto quello che ha fatto finora comprese le ultime finali, ma Jordan aveva quel qualcosa di speciale. Kobe, quasi. Non so che rabbia fosse, ma Mike ce l’aveva, negli altri due non la vedo.
A proposito di LeBron ha uno score di 2 vittorie e 4 perse nelle Nba Finals. Tanti giocatori, considerati leggende del basket, non hanno mai vinto un anello: Stockton, Malone, Barkley o Nash. Perché, nonostante due titoli, James viene da molti considerato un perdente?
Credo che alcuni non gli tributino il rispetto che merita. Arrivare sei volte in finale è una delle cose più difficili che un giocatore e una squadra di basket possano fare. E se tu sei il leader e qualcuno dei tuoi ragazzi è infortunato, o non sta benissimo, come successo nel primo anno ai Miami Heat con Wade e Bosh, beh il merito è tuo. Quando ha perso contro gli Spurs era un ragazzino ed era a Cleveland. Tim Duncan ha per caso scritto il suo futuro in una squadra come i Cavaliers? No. Non reputo James un perdente, penso sia il migliore al mondo.
Quest’anno lo hanno sconfitto i Warriors allenati da Steve Kerr. È stato suo compagno di squadra a Chicago nel 1993. Era un esordiente come giocatore, si capiva già che sarebbe potuto diventare un allenatore e vincere un titolo?
In campo aveva un quoziente intellettivo superiore. Sapevamo tutti che sarebbe diventato un coach o un dirigente. Vincere il titolo al primo anno da allenatore, è stata questa la vera e piacevole sorpresa.
Lei è stato uno dei primi a usare gli occhiali durante le partite. È vero che ha scoperto di non vedere affatto bene molto dopo aver iniziato a giocare in Nba?
La cosa buffa di questa storia è che quando a inizio stagione facemmo le visite: ci controllarono occhi, orecchie, tutto. E le superai. Poi una volta, mentre leggevo un libro che mi diede coach Phil Jackson, uno dei suoi assistenti notò che lo avevo incollato alla faccia e mi disse: “Quando torniamo a Chicago, dobbiamo farti controllare gli occhi”. Gli risposi: “No, i miei occhi stanno benissimo”. E lui: “No, se leggi un libro così!”.
Quindi si finì dall’oculista…
Mi disse: “Non riesco a credere che tu abbia superato gli esami, sei legalmente cieco”. Così sono nati gli occhiali.
Un anno fa in Nba è scoppiato il caso Donald Sterling. Un brutto colpo per la Lega.
Sfortunatamente accadono ancora cose del genere. Penso che il commissioner Adam Silver abbia fatto un ottimo lavoro, prendendosene cura. Sterling non è il capo di una buia organizzazione. La Nba se ne è occupata nel modo giusto. E Sterling è stato allontanato a vita dal nostro mondo.
Due giorni fa un americano ha compiuto una strage a Charleston, uccidendo per motivi razziali nove persone. Il presidente Obama ha detto: “Certe cose accadono solo da noi”. Il razzismo resta uno dei maggiori problemi negli Stati Uniti?
Non solo negli States, ma da noi episodi di questo tipo si ripetono spesso. Ci vorrebbe una soluzione drastica, che non ho, altrimenti l’avrei già data. Purtroppo c’è chi ancora prende per buone bruttissime bugie. Tutto questo è spiacevole.
A proposito di Obama. Sta per scadere il suo secondo mandato. Se pensa alle cose fatte, alle promesse mantenute e a quelle non mantenute, che giudizio dà al presidente?
Ha fatto un ottimo lavoro. Non può accontentare tutti, ogni volta. Anche se è il presidente, ha un Congresso e un Senato a cui dar conto. Al di là di tutto gli do “i pollici in su”: ha fatto il meglio che ha potuto, vista la sua posizione e l’aiuto che gli è stato fornito.