L'ultima puntata di Servizio Pubblico, intitolata "Rosso di sera" (trasmessa in diretta da Firenze), ha richiamato la lontana notte del 1991, al termine della stagione ruggente segnata da guerre, mafie e referendum
Rosso di Sera ha concluso questa stagione di Santoro con una serata-evento che esplicita l’impasto di etica ed estetica che dà l’anima alla ditta. Richiamando, con effetto madeleine, la lontana notte del giugno 1991 in Piazza Farnese a Roma, al termine di una stagione ruggente, segnata da guerre e mafie, nonché dal referendum elettorale di Mario Segni. E lì, mentre incalzavano le speranze di cambiamento, fu messo in scena anche il cambio d’abiti di una sfilata di moda, per far capire, con la lingua dei fatti, che Samarcanda non era una trasmissione di operaisti settari, ma guardava al risveglio del Paese operoso. E del resto, allora il Muro era appena crollato, il secolo breve appena finito e da noi spirava aria di “rivoluzione nazionale” piuttosto che di sommovimento di classe (infatti dopo pochi mesi scoppiò Mani Pulite, e non la conquista del Palazzo d’Inverno).
Siamo dunque da sempre, e al di là di ogni contenuto, al più puro generalismo televisivo con l’aggiunta (davvero uno specifico santoriano) dell’incrocio, a volte più a volte meno sottolineato, fra talk show e movimento, fra narrazione d’autore e spirito dei tempi. Uno stile che quest’anno, dopo aver tentato per molti mesi di tenere la barra in equilibrio, porta Santoro a concludere con una dichiaratissima virata a sinistra. “Ma come – direte voi – Santoro si butta lì proprio ora che si stanno decomponendo le ultime appartenenze, e proprio mentre Renzi gioca tutto sulla “nazione?”
Ma forse, proprio nelle caratteristiche di Renzi risiede metà della spiegazione, perché, ci è capitato di osservarlo più volte, rispetto alla politica del fare la tv è comunque passiva, priva di un effettivo ruolo di intermediaria fra governante e governati. E quindi, avrà pensato Santoro, quel che resta scoperto, e che può popolare un movimento, è solo lo spazio “esterno a Renzi”. L’altra metà della spiegazione è, invece, per quanto ne capiamo, che l’ultima crisi economica non è congiunturale e non se ne esce insieme, col sollievo generale più o meno di tutti, ma è una crisi di ristrutturazione e cambiamento, col conseguente dualismo dei destini fra i settori e le attività che stanno già esplodendo di salute e i molti altri che non hanno alcuna possibilità di ritrovarla.
E, così, la somma delle due metà individua lo spazio di movimento a cui Santoro chiede la forza per determinare il suo rinnovato sbocco in televisione. L’esito lo vedremo da qui a qualche mese, spulciando i palinsesti o vagando in altre piattaforme. La risposta per ora è tiepida: 6,34% di audience, pur in assenza del Virus che ha distolto pubblico per tutta la stagione. In compenso, quelli che hanno risposto all’appello sono distribuiti un po’ in tutte le categorie: territori, livello di istruzione e reddito. A conferma che il “rosso” di oggi non è un vessillo della lotta di classe, ma uno stato d’animo, un’opinione. Una nuance diffusa, come capita all’alba e al tramonto.