“Frank Underwood è ironico, ammiccante e negativo. E’ un uomo ambivalente. Di un’ambiguità che si trasferisce anche sul piano erotico. Prendi il sesso con Claire: nei momenti di intimità è lei che fa l’amore con lui, Frank si fa solo possedere. Un altro esempio che posso farti è il triangolo amoroso con la guardia del corpo. Quando osserva certi uomini Frank ha un’espressione del volto pazzesca, li scruta da innamorato. E’ lo sguardo di un uomo che vorrebbe concedersi, ma non può. Perché è sposato, perché è un politico di un certo livello e per il ruolo che ricopre”. A raccontare i meandri del personaggio di Frank Underwood in House of Cards è Roberto Pedicini, la voce del politico americano protagonista della serie che, negli States, è trasmessa da Netflix. Ma, più in generale, è il doppiatore italiano di Kevin Spacey. E non solo, ha una lunga carriera alle spalle e adesso insegna all’Accademia del doppiaggio.
Sulla quarta serie: “Claire Underwood come Hillary Clinton?”
House of Cards è ormai giunta alla terza stagione. Nel 2016 ci sarà la quarta e i fans sfegatati vogliono sapere cosa succederà. La sete di potere senza confini di Frank riuscirà a saziarsi? Sarà in grado di tenere tutto sotto controllo?: “Non sappiamo cosa succederà – racconta Pedicini – il doppiatore non ha a disposizione anteprime. Quello che posso dirti è che Claire potrebbe diventare la sua rivale alla Casa Bianca. Questo un po’ ricorda la situazione americana di adesso con Hillary Clinton non trovi? Se ci hai fatto caso comunque, la terza serie è stata un po’ di transito. E’ stata molto interessante a livello di dialoghi, meno per quanto riguarda l’azione. Però si può dire che abbia puntato proprio sulla conversione di Claire e sull’evoluzione del suo rapporto con Frank. La prossima credo che invece sarà una serie con una grande dose d’azione. Ad ogni modo, non credo che si rimettano insieme”.
“Frank Underwood parla con gli occhi, il doppiatore deve riuscire a rendere questa emozione con la voce”
Quello che è certo, è che nel prossimo capitolo di House of Cards tornerà la cupa malignità di Frank Underwood e una delle sue principali caratteristiche: il fissare intensamente la camera parlando direttamente al pubblico. Così facendo, comunica emozioni viscerali, oltre che idee e concetti chiave: “Spacey, tramite Underwood rompe la quarta parete, si rivolge al pubblico portandolo nel cuore della sua ironia e della sua cattiveria”, dice Pedicini. Ma quanto può essere difficile rendere l’intima sintonia tra sguardo, emozioni e concetti vocali in un’altra lingua, da parte di qualcuno che non è l’interprete diretto del personaggio? “Spacey è straordinario. Lui comunica con gli occhi, con la sua interiorità. Guarda la camera e ti porta nella sua dimensione più profonda. Poi c’è il suo modo di recitare: morbidezza del corpo e movimento delle mani privo di tensioni esterne al personaggio. Io ho fatto un percorso mio personale e ho cercato di portarlo su Kevin Spacey per rendere quello sguardo”.
E questo aspetto della serie, cioè questi monologhi che “rompono la quarta parete” appaiono subito, fin dalla prima puntata della prima serie: “Ci sono due tipi di dolore. C’è il dolore che ti rende forte e il dolore inutile, quello che è solo sofferenza. Io non ho pazienza per le cose inutili. Momenti simili richiedono qualcuno che faccia la cosa necessaria”. Così Frank Underwood, sguardo dritto in camera, mentre uccide il cane dei vicini, investito da un’auto. Sete di sangue in un certo senso quindi, oltre che di potere. Perché, al di là del cane, Frank è un assassino.
“Amiamo Frank perché siamo affascinati dal male”
Così buio e inquietante che vien da chiedersi perché il pubblico partecipi con lui, anzi, perché parteggi per lui. Per quale motivo, insomma, lo amiamo così tanto? Pedicini ha la sua idea: “Tu non credi che il male sia più attraente del bene? Ecco perché piace. Da una parte noi pensiamo di poter redimere il male, di poterlo controllare. Dall’altra il lato oscuro ci affascina. E’ facile innamorarsi di un personaggio come lui”.
“Frank come Renzi? In America è diverso, lì il male ha una fonte più potente”
Non è difficile innamorarsi di uno come Frank Underwood quindi. Quanto meno fino a che rimane un personaggio che noi consideriamo di finzione. Nella vita reale questa fascinazione del male è più difficile da sostenere, almeno se parliamo di politica. In Italia, ad esempio, si è spesso messo a paragone il personaggio di Frank con la persona di Matteo Renzi. Il nostro presidente del Consiglio non ha mai nascosto di aver apprezzato i libri e la serie, dicendo che la formazione dei politici deve essere portata avanti “non soltanto attraverso strumenti tradizionali, ma anche con le serie tv americane”. Ad un certo punto lo scrittore della trilogia di House of Cards, Michael Dobbs, si è anche rivolto a Renzi, sottolineando che “i miei libri non sono un manuale di istruzioni”.
Ma, Matteo Renzi, ha assunto qualche tratto distintivo di Frank e delle sue politiche? Il Jobs Act non ricorda in qualche particolare la riforma del lavoro di Underwood? “Guarda – risponde Pedicini – io non sono negli ambienti della politica italiana, quindi non saprei dirti. Quello che so è che in Italia non ci si muove così. In America è diverso, lì business e denaro sono alle stelle e quando si parla di potere è veramente potere, a 360 gradi. Il male lì ha una fonte più potente. In Italia è diverso, comunque non faccio fatica a credere che anche i politici italiani siano affascinati da House of Cards, probabilmente se facessi il politico attrarrebbe pure me. Ma Frank si macchia le mani di sangue e mi auguro che la fascinzione del personaggio non arrivi a questo livello”.
“La scuola italiana di doppiaggio italiana? Ha perso molta qualità”
Pedicini ha così raccontato il personaggio di Frank Underwood a FQ Magazine. Un doppiatore, che è anche un po’ un attore, deve conoscere profondamente il personaggio di cui si veste. Ci deve essere una sinergia tale che chi guarda non si renda conto del doppiaggio, che deve arrivare a scomparire. Si può essere d’accordo o meno sul doppiaggio, si può essere convinti che guardare una serie o un film in lingua originale sia meglio perché “ogni traduzione è un tradimento”, ma si può dire che la scuola di doppiaggio italiana sia una delle migliori al mondo? “Negli ultimi anni si è persa parecchia qualità, perché è richiesta meno professionalità e più velocità e produttività. Si doppia un film in un terzo del tempo che si impiegava prima. Poi anni fa c’erano dei veri e propri maestri. Mantenevano alle stelle una qualità, che pian piano è venuta ad abbassarsi”.
“Quando ho incontrato Kevin Spacey e Javier Barden…”
Nonostante abbia meno tempo a disposizione rispetto ad anni fa, un doppiatore spesso segue il suo attore in ogni film. Pedicini in passato ha dato la voce, oltre che a Kevin Spacey, anche a Jim Carrey, Vincent Cassel, Patrick Swayze, Denzel Washington, Bruce Willis, Antonio Banderas e moltissimi altri. Ma uno dei suoi preferiti rimane Javier Bardem: “Lui fa quello che stava facendo De Niro negli anni 70. Immedesimazione totale con il personaggio, ruoli sempre diversi in tutti i film, differenze profonde che esistono sia nel look fisico, che nel modo di parlare. Bardem mi ha telefonato da Venezia dopo aver vinto la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile in Mare Dentro: “Grazie, mi ha detto, per aver respirato con me il personaggio che ho fatto”.
“Kevin Spacey invece, l’ho conosciuto un po’ di anni fa. Mi dissero: ‘E’ molto timido, è molto riservato’. Poi me l’hanno presentato, spiegandogli che ero il suo doppiatore, mi ha abbracciato e mi ha detto: “Oh, so you are my alter ego (Così sei il mio alter ego ndr)”. Mi ha quasi intimidito, non me l’aspettavo. E’ stato pazzesco, straordinario”.