Finalmente una bella notizia. La guerra agli impresentabili dà i suoi primi, concreti, risultati. Non in Parlamento, dove i deputati e i senatori condannati, imputati, indagati o salvati da prescrizione e amnistia, restano decine e decine. E nemmeno nelle Regioni, dove in occasione delle elezioni il codice etico di autoregolamentazione della Commissione Antimafia è stato più volte platealmente ignorato. La svolta avviene invece a Milano, una metropoli che, alla faccia di gufi, inchieste giudiziarie e detrattori, si riconferma giorno dopo giorno laboratorio politico e sociale e capitale morale d’Italia.
Qui per garantire la sicurezza di Expo le Autorità hanno agito contro gli impresentabili con fulminea severità. Le generalità di 60mila persone che aspiravano a lavorare, o già lavoravano, nei padiglioni della manifestazione sono state incrociate con le banche dati della Questura. In seguito ai controlli almeno 600 cittadini si sono visti così ritirare o negare il pass d’ingresso e qualcuno, una volta ricevuto il marchio della vergogna, è stato pure licenziato. Le Autorità, molto opportunamente, non si sono lasciate condizionare dal fatto che molti di loro avessero la fedina penale immacolata. Come hanno ufficialmente confermato fonti della Polizia, lo screening è invece avvenuto esaminando le denunce per reati penali presenti nell’archivio informatico del Viminale. E non sempre la successiva assoluzione o archiviazione è bastata per evitare il ritiro dell’accredito.
Inutile però chiedere il perché. Sulla base di condivisi principi, propri di tutte le democrazie liberali, il metodo seguito per dare o togliere i pass è stato tenuto segreto. Lo ha confermato il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico che, nei giorni scorsi, ha spiegato: “Expo è un sito sensibile, di rilevanza strategica. Ci sono delle attività di prevenzione i cui criteri non possono essere resi noti, perché perderebbero di efficacia”. Bubbico non lo ha detto. Ma come hanno notato gli osservatori più acuti, la democratica metodologia ha anche avuto il pregio di evitare alle Autorità il rischio d’incappare nelle giuste critiche rivolte alla Commissione parlamentare Antimafia. Un’istituzione obsoleta che, prima di stilarne la lista, aveva osato rendere pubblici, con largo anticipo, i criteri e l’elenco di reati in virtù dei quali i politici candidati per le regionali sarebbero stati considerati impresentabili.
Ma pure nella riservatezza, gli accadimenti di questi giorni permettono agli esperti di formulare delle ipotesi sulla logica seguita nella selezione. Più volte, per esempio, nel “sito di rilevanza strategica dell’Expo” è stato visto entrare il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni.
L’esponente leghista, come è noto, è un condannato definitivo per resistenza a pubblico ufficiale, è stato imputato e assolto per attentato contro la Costituzione e creazione di struttura paramilitare fuorilegge. Attualmente è indagato per aver fatto pressione per far assumere una sua protetta proprio all’Expo. Visti questi precedenti di Polizia alcuni analisti deducono che almeno uno dei criteri seguiti nell’assegnazione e nel ritiro dei pass potrebbe essere direttamente collegato allo status sociale del richiedente. Altri invece pensano che la parola chiave sia “lavoratore” e che per questo Maroni non rientri nello screening. Tutti in ogni caso concordano nell’asserire che le Autorità non ritengo “siti di rilevanza strategica” né i ministeri, né le regioni, né le Camere. La mancata “attività di prevenzione” sugli impresentabili da parte di Autorità e partiti, dicono gli analisti, non è infatti spiegabile altrimenti.