Ho seguito sui giornali la vicenda di Fabrizio Corona che due giorni fa ha ottenuto l’affidamento terapeutico alla comunità di Don Mazzi. Corona ha trascorso quasi tre anni in carcere e probabilmente (il provvedimento è provvisorio in attesa della decisione del Tribunale di sorveglianza) potrebbe non tornare più dietro le sbarre. Finirebbe di scontare la pena in comunità anzi, non troppo tardi, potrebbe tornare al suo lavoro. Così come hanno fatto altri prima di lui grazie a quegli articoli che, non tutti conoscono, sono nel nostro ordinamento penitenziario e che sono compatibili con quel principio, di cui spesso in tanti si dimenticano, che è il fine rieducativo della pena.
Corona non ha avuto trattamenti di favore come i più animosi possono pensare, né gli appelli di alcune personalità legate al mondo dell’associazionismo può essere stato determinante nella decisione di scarcerarlo. Semplicemente un magistrato di sorveglianza ha applicato la legge sulla base di presupposti soggettivi e oggettivi.
Non appena uscita la notizia della scarcerazione di Corona il mondo del web si è schierato: da una parte il sostegno dei quasi settecentomila followers di Facebook che non hanno mai smesso di seguire la pagina pubblica dell’ex paparazzo continuamente aggiornata dal suo entourage, dall’altra quelli che avrebbero voluto Fabrizio Corona in carcere per il resto della sua vita.
Fabrizio Corona è un personaggio che fa discutere: è l’esatta raffigurazione del “bello e dannato”, arrogante e spavaldo, sprezzante delle regole fino a quando la giustizia non gli ha presentato il conto. Ho sempre pensato che il tam tam mediatico sollevato attorno alla sua vicenda fosse per lui controproducente. Ma davanti al suo travagliato e spedito iter giudiziario non posso negare di aver avuto la sensazione che Fabrizio Corona sia stato punito più severamente di altri: un chiaro messaggio a tutti coloro che lo hanno idolatrato (pur sapendo che ciò che faceva non sempre era lecito) che le sue gesta non sono da emulare, che la legge è uguale per tutti, che la macchina della giustizia funziona e che chi sbaglia deve pagare. Principi sacrosanti, salvo poi constatare che in altri casi la macchina si inceppa, che i processi si prescrivono e che chi sbaglia non sempre paga.