Il serial killer? Una metafora del disagio sociale. Carlo Lucarelli torna in TV dal 23 giugno alle 22 su Crime+Investigation con Profondo Nero a raccontare sei storie di altrettanti efferati assassini seriali e il contesto sociale nel quale hanno vissuto. Ma per lo scrittore bolognese, non è poi tutto così nero: i bambini di oggi – dice – salveranno il mondo di domani. In cantiere anche un nuovo romanzo e il ritorno de L’Ispettore Coliandro. E tante idee per una nuova Tredicesima ora…
Cos’ha di diverso Profondo Nero dai soliti programmi di cronaca sui serial killer?
Noi non raccontiamo solo la loro storia, ma cerchiamo di usare i serial killer come metafora di un disagio che c’è in tutti i tempi e in tutti i luoghi, puntando su sei storie italiane. A volte la società, pensando di avere altro da fare, si dimentica della propria metà oscura, delle sue pieghe di disagio psicologico, sociale e storico che poi tornano in questa forma che è una specie di malattia. Raccontate così queste storie possono anche servire come piccolo campanello d’allarme e farci prestare più attenzione a chi ha dei problemi.
Secondo lei questa sorta di malattia che porta a uccidere è più innata o più forgiata dalla situazione esterna alla persona?
Io non sono un esperto come i criminologi e gli psichiatri, ma credo che i nostri comportamenti derivino da alcuni istinti innati e in gran parte dalla cultura. Probabilmente il serial killer, che è una persona con grossi problemi, forse non li averebbe sviluppati in quel modo e non sarebbe diventato ciò che è se fosse stato curato e messo in una condizione migliore. Per esempio Salvatore Avvantaggiato di cui raccontiamo in Profondo Nero era già in galera perché aveva già ucciso in maniera brutale e forse poteva essere osservato e protetto, diciamo, in altro modo. Così come Ferdinand Gamper, un signore che se ne sta isolato dentro una baita a invidiare il mondo: anche lui probabilmente se fosse stato meno solo, sarebbe diventato qualcos’altro.
E la centrale termoelettrica dismessa di Montalto di Castro come location del programma?
Nello stesso momento in cui io, alcuni collaboratori con cui facevo Blu Notte e gli ex allievi di Bottega Finzione, la mia scuola di scrittura di Bologna, abbiamo pensato al programma, abbiamo anche scoperto questa ex centrale meravigliosa in cui volevamo comunque fare qualcosa, un posto incredibile che bisogna andarci per capirlo, e ci è sembrato che somigliasse proprio alla mente di un serial killer, con tutti i suoi tubi che vanno chissà dove, le sue valvole incredibili, le sue porte che le apri e ti ritrovi in una stanza completamente diversa, così le due idee si sono sposate.
Un esordio su Crime+Investigation proprio a un anno dalla soppressione del suo programma su Rai3 La tredicesima ora. Le manca?
Sì è un bell’esordio per me, anche se continuo ancora a collaborare con RaiStoria, ma il non fare più La tredicesima ora su Rai3 mi dispiace molto. Era un programma diverso che raccontava storie misteriose che avevano a che fare con una problematica sociale e storica e prima o poi mi piacerebbe tornare a farlo da qualche parte, anche perché siamo pieni di idee, ogni giorno apro il giornale e penso “ecco, questa è una cosa che avrei potuto raccontare”. Mafia Capitale ad esempio, ma non quella di oggi che stiamo ancora scoprendo, ma la Mafia Capitale di ieri, le sue origini, e sarebbe stato interessante parlare di Carminati alla nostra maniera.
Un programma peraltro che andava molto bene, ha mai capito perché è stato eliminato?
Nessuno mi ha spiegato niente e il motivo non l’ho mai capito né mi è mai stato detto. Lo ha deciso il direttore Andrea Vianello senza darci spiegazioni. Che poi è legittimo, il direttore può decidere quello che vuole, se il programma non gli interessa più o ha una linea editoriale diversa va bene, non c’è nessun problema, peccato però perché aveva buoni ascolti e un’ottima critica, ma io sono sempre qua. A breve poi riprenderò anche Le Muse Inquietanti su Sky Arte, anche quello è stato un programma molto apprezzato.
E poi a Bologna sono partite le riprese della nuova serie de L’Ispettore Coliandro…
Sì, stiamo girando proprio in questi giorni, lo riprendiamo dopo 4 anni con 6 puntate e con Coliandro che finisce sempre dentro storie più grandi di lui, che però hanno sempre a che fare con cose che succedono realmente. Tempo fa pensavo che mettendo la mafia in Emilia Romagna, ad esempio, con la ‘ndrangheta che spadroneggia, avremmo fatto una caricatura in nero del nostro paese esagerando un po’, invece mi sono accorto che non esageravo affatto e l’ultima inchiesta in Emilia ha dimostrato che stavamo soltanto fotografando la realtà. Senza contare che nel 1992 scrissi di un poliziotto a capo della Uno Bianca e due anni dopo ne hanno arrestati sei.
Quando si dice che la fantasia anticipa la realtà…
Non credo che noi scrittori anticipiamo la realtà, piuttosto la fotografiamo senza accorgercene. Se ci viene un’idea non è perché siamo geniali e accadrà più avanti, ma perché sta accadendo ora, soltanto che non ce ne siamo ancora accorti e a noi sembra un’idea originale.
Tipo messaggi subliminali che qualcuno recepisce e altri no?
Esatto, la realtà dà a noi scrittori dei messaggi subliminali, è una bellissima metafora e la userò.
Presto ci regalerà anche un nuovo romanzo…
Sì, sto finendo di scrivere una specie di seguito di Albergo Italia, ambientato in Eritrea nel 1899 durante il primo periodo coloniale italiano, ed è un altro giallo con gli stessi due protagonisti, il capitano Colaprico e il carabiniere indigeno Ogbà, che poi è il vero protagonista della storia, che cercano di trovare la soluzione a un intrigo che ha molto a che fare con l’Italia di ieri ma è anche molto vicina all’Italia di oggi.
Lei ha scritto anche un giallo per bambini intitolato Thomas e le gemelle, dove peraltro le gemelle sono le sue figlie… non le capita di avere paura per loro visto il mondo noir in cui viviamo? E come si scrive un giallo per bambini?
Non sono troppo preoccupato per loro perché anch’io sono cresciuto in quel mondo lì essendo nato nel 1970 tra stragi, massacri e mafia, come raccontavo in Blu Notte, eppure sono ancora qua. Thomas e le gemelle è un racconto giallo che ha a che fare con un bambino e con altre due bambine che lo aiutano, c’è un mistero e alla fine si parla anche di eco crimini e della realtà di oggi che ci ho messo dentro. Scrivere un giallo per bambini significa scrivere un giallo a tutti gli effetti ma tenendo conto che il tuo lettore ha un certo tipo di conoscenza linguistica e quindi non devi scrivere cose che lui non potrebbe capire.
O che magari potrebbero turbarlo…
Certo, anche se le cose che turbano un bambino non sono quelle che pensiamo noi, perché chi legge Thomas e le gemelle di solito ha già letto Harry Potter che non è proprio un horror ma certo può inquietare, e ha visto sicuramente Biancaneve. È chiaro che non scrivo di mostri che sbudellano persone e di viscere che volano via, ma i bambini sono turbati da altro, dalle cose che non riescono a capire, come Thomas lo è dal rumore soffiante che sembra quello di un mostro e dalla luce gialla che viene da dietro la staccionata di un cantiere di notte, e vuole scoprire che cos’è veramente. E poi toccherà a loro più avanti occuparsi delle cose di cui mi occupo io adesso ed è meglio che siano informati.
Come le sembrano i ragazzi di oggi da questo punto di vista?
Io sono abbastanza fiducioso perché stanno venendo su bene, nonostante le tante cose che succedono. Per esempio quando il 21 marzo scorso sono andato a Bologna per celebrare il giorno della memoria delle vittime di mafia, c’erano 300mila persone e il 90% di loro era sotto i vent’anni. Così sono fiducioso che quei ragazzi lì risolveranno il problema quando saranno loro che comanderanno.