“La nave Dattilo ha appena individuato un barcone vuoto alla deriva. Che faccio? Dico ai miei uomini di togliere il tappo?”. La butta sul ridere l’ufficiale della Guardia costiera Gianluca D’Agostino, Capitano di Fregata, ma soprattutto dirigente di Mrcc, la sala operativa che dal quartiere Eur di Roma coordina le operazioni di salvataggio nel Mediterraneo.

L’ammiraglia della flotta italiana ha veramente intercettato un natante usato dai migranti per un viaggio della speranza. “Sulla fiancata porta la scritta ‘Sar 5, 5, 2015’ fatta con vernice indelebile – spiega il comandante – Ciò significa che il soccorso è stato fatto il 5 maggio”.

Mentre D’Agostino controlla il maxi-schermo su cui sono segnalate le rotte di tutte le imbarcazioni in quel momento in mare, fra Bruxelles e New York si stanno limando i dettagli di Eunavfor Med, la missione europea a sud di Lampedusa contro gli scafisti. “Cosa cambierà per noi? Niente – replica il marinaio – Perché la nostra regola d’ingaggio rimane quella di salvare la vita umana in mare”.

Uno degli aspetti dell’operazione più pompato dai media è che fare con le barche dei trafficanti. Secondo le ultime bozze, i natanti saranno “eliminati” e non “distrutti”, ma l’ufficiale derubrica il dibattito come una cosa da talk show: “I barconi sono oggetti d’indagine da mettere a disposizione degli inquirenti. Laddove non fosse possibile il traino verso i porti italiani, i nostri uomini scendono a bordo per fare i rilievi del caso”.

Il comandante poi specifica che mai e poi mai manderebbe sottocoperta un membro del suo equipaggio per fare colare a picco una carretta del mare. Anche perché non ce n’è bisogno: “Sono imbarcazioni ‘usa e getta’ pensate per un viaggio di sola andata”. Soprattutto i gommoni, che sono lo strumento preferito dagli scafisti. “Per loro è molto più facile ed economico costruire ex novo un gommone che acquistare un vecchio gozzo. Tant’è che le barche di legno sono solamente un terzo dei natanti che soccorriamo”, conferma D’Agostino. 

L’anno scorso da questo seminterrato a due passi dal Palazzo delle Esposizioni sono state coordinate le operazioni che hanno tratto in salvo la cifra record di 170mila persone. E il 2015 non è da meno: 56mila a giugno, nonostante lo stop all’operazione Mare Nostrum.

Ecco come funziona il dispositivo: il primo step è la richiesta d’aiuto. “Una chiamata dal telefono satellitare proveniente dal barcone – specifica il marinaio – che grazie all’aiuto delle compagnie telefoniche riusciamo a localizzare”. Una volta messo un puntino in mezzo al mare, “ma senza rotta né velocità”, la decisione successiva è decidere chi deve prestare aiuto. “Qui coordiniamo tutte le operazioni dentro le acque di nostra competenza, ma in situazioni di pericolo, una volta verificato che nessuno è in grado di intervenire utilmente, ci spingiamo anche oltre”, racconta il comandante prima di passare ai dati: “Dei 170mila salvataggi del 2014 circa 42mila sono stati effettuati da mercantili e pescherecci dirottati dalla nostra centrale, 40mila dalle unità della Guardia costiera e il resto da navi militari intra ed extra Mare Nostrum”. E ora che non è più attiva la missione italiana, sostituita, ma solo in parte, dall’operazione internazionale Triton? “C’è maggiore richiesta verso le imbarcazioni civili – risponde l’ufficiale – Ma il risultato lo portiamo a casa lo stesso: basti pensare che il numero di salvataggi a maggio 2015 è lo stesso di quello dell’anno precedente”.

Una bella fortuna per i migranti, perché il Mediterraneo è il mare più trafficato del Mondo. Ogni giorno viene solcato da 7000 imbarcazioni, molte navigano sulla rotta Suez-Gibilterra che passa proprio nel braccio di mare fra Libia e Italia. E’ mai successo che una nave commerciale rifiutasse il soccorso? “Mai – risponde convinto D’Agostino – Il cuore dei marinai va oltre ogni norma scritta”.

Dal Fatto Quotidiano del 14 giugno 2015

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