Dopo la prima stagione, osannata da pubblico e critica e interpretata da Matthew McCounaghey e Woody Harrelson, è partita su Sky, in contemporanea con gli Stati Uniti, il nuovo capitolo con diverse ambientazioni e un cast rinnovato
Ray Velcoro e Frank Semyon, rispettivamente interpretati da Colin Farrell e Vince Vaughn, sono due dei nuovi protagonisti della seconda stagione di True Detective, la serie cult targata HBO e firmata Nic Pizzolatto, osannata da pubblico e critica: il primo episodio è andato in onda alle 3 della scorsa notte su Sky Atlantic HD in contemporanea con gli Stati Uniti, in versione originale sottotitolata e sarà in replica stasera alle 22.10, mentre in versione doppiata partirà lunedì prossimo in prima serata, sempre su Sky Atlantic HD.
Dimenticate la paludosa Louisiana e i detective Martin Hart e Rustin Cohle con le facce di Matthew McConaughey e Woody Harrelson, che comunque si confermano tra i produttori esecutivi, perché siamo in California. Ray Velcoro è il poliziotto corrotto e tormentato di Vinci, città industriale e immaginaria della contea di Los Angeles, diviso tra gli ordini del suo capo e quelli di Frank Semyon, che invece è un imprenditore non proprio onesto che rischia il fallimento totale e che ha una bella e intelligente moglie sempre al suo fianco che si chiama Jordan, e che è tale e quale a Kelly Reilly. Poi ci sono anche Paul Woodrugh, interpretato da Taylor Kitsch, agente in motocicletta dei California Highway Patrol (ricordate i Chips? Proprio quelli), giovane ma già veterano di guerra afflitto da disturbi post traumatici; e Rachel McAdams, che è Ani Bezzerides, dell’ufficio dello sceriffo della contea di Ventura, perennemente impegnata a fare la cosa giusta e a non rispettare le regole di un mondo che non le piace. Del resto “abbiamo il mondo che ci meritiamo”, le dirà Ray più avanti.
La serie è quella che si definisce antologica per cui cambia di volta in volta storia e ambientazione, e per True Detective 2 anche la regia: dietro la macchina da presa non c’è Cary Fukunaga, che pure con la prima serie si era beccato un Emmy Award, pare per qualche disaccordo con Pizzolatto sul cast, che ad ogni modo ci sembra più che all’altezza incluso Vince Vaughn, per molti più avvezzo alla commedia, ma diversi registi come William Friedkin de L’Esorcista e Justin Lin di Fast and Furious che firma il pilot e che, almeno alla prima impressione, non fa rimpiangere Fukunaga più di tanto, neanche per l’uso efficace dei flashback. La seconda stagione di True Detective indaga allo stesso modo l’animo dei personaggi e regala le medesime atmosfere cupe e maledette, seppure con colori diversi. Forse ci mancano un po’ i dialoghi intimi e dissacranti tra Rust e Marty, magari non è proprio la stessa cosa sentire Frank che dice “non bisogna fare nulla spinti dalla fame, neanche mangiare”, ricordando Rust che proclamava il suo credere che “la cosa più onorevole per la nostra specie sia rifiutare la programmazione, smetterla di riprodurci e procedere mano nella mano verso l’estinzione”, ma in quanto a tormenti e passati ombrosi i protagonisti della seconda stagione non hanno nulla da invidiare ai loro predecessori e come loro ad unirli sarà un omicidio rituale dai risvolti oscuri.
Tornando dunque alla storia, Frank ha un problema con il suo nuovo affare per centinaia di milioni legato alla costruzione della metropolitana e al corridoio ferroviario di Vinci in cui ha investito tanto e ha fatto investire pure gli altri, città compresa: parte infatti un’inchiesta sui finanziamenti statali e sul giornale c’è scritto che è solo l’inizio, così Frank chiama Ray Velcoro, i cui metodi sono rozzi ma convincenti, e il giornalista decide che non è più tempo di indagare. Ma Frank ha anche un altro problema: il suo principale “socio”, il consigliere comunale Ben Caspere, è sparito da due giorni e l’investitore principale Osip senza di lui non firma. Della sua scomparsa deve occuparsi proprio Ray, ma stavolta l’ordine gli arriva dal suo capo in polizia, non da Frank.
Ani intanto fa irruzione in una casa bianca, una sorta di bordello virtuale dove le ragazze fanno autoerotismo davanti alla webcam per clienti online, ma il blitz è un flop perché alla fine è tutto legale, solo che Ani ci trova sua sorella, ex tossica, che con una parrucca verde in testa fa Athena la dea dell’amore, e che ai suoi rimproveri risponde che “quelli che dici essere i miei problemi in realtà sono i tuoi”, e Ani resta lì, colpita e affondata. Ma è su un’altra sorella che poi deve indagare, quella della donna alla quale va a consegnare un ordine di sfratto e che le mostra la foto di Vera, ex cameriera, bella, bruna, 24 anni, sparita da settimane e per puro caso passata recentemente dall’istituto religioso Panticapeum dove un tipo con lunghi capelli bianchi e una sorta di pigiama consegna ai suoi seguaci l’esercizio del giorno: “Riconoscere il mondo come privo di senso e comprendere che Dio non ha creato un mondo insensato”. Ed ecco il primo piccolo colpo di scena: il tipo è suo padre, e pure di Athena, ovvio.
Non va meglio a Paul che viene sospeso perché ha fermato una tizia che correva troppo con la sua macchina rossa, un’attrice in libertà vigilata con un braccialetto elettronico alla caviglia che prova a portarselo a casa per evitare una citazione in tribunale e poi lo accusa di averla ricattata. Paul ha mezzo corpo coperto di cicatrici da ustioni e per fare l’amore con la sua donna deve prima mandare giù una pasticca azzurra e a dormire da lei non ci resta mai. Quindi torna a casa correndo con la sua moto lungo la Pacific Coast a tutta velocità e pure a fari spenti ed è così che a Ventura si imbatte su un uomo seduto su una panchina di legno a margine della strada, che indossa occhiali scuri ed è palesemente morto, sulle ginocchia un portafogli e sui documenti c’è scritto Ben Caspere. È morto dissanguato da un’altra parte, dice il coroner, ha profonde ferite pelviche e gli hanno portato via gli occhi con l’acido. Sono le prime luci dell’alba e intorno al cadavere ci sono Ray, Ani e Paul e tutto può cominciare.