Gazebo ha chiuso la stagione in prima serata di venerdì con sei puntate di due ore ciascuna (per inciso, la solita durata mostruosa dei programmi che in Italia, e solo in Italia, devono “fare serata” tutti da soli). Rai Tre ha rischiato l’osso del collo perché trasferire dal club della notte alle dinamiche del prime time un prodotto da appassionati come quello di Bianchi e Salerno era una scommessa rischiosa. Ma il collo pare l’abbiano salvato perché dopo aver cominciato a metà maggio sotto il 3% di audience sono arrivati il 22 giugno al 3,35%, aumentando gli spettatori reali (da circa 600mila a circa 700mila) in controtendenza rispetto al raggrinzimento estivo della platea televisiva, scesa in cinque settimane, come è normale d’estate, da 27 a 23 milioni di spettatori.
Quelle del programma possono sembrare comunque cifre non grandi, rispetto ai milioni delle partite e de “Il Segreto”. Ma quelli di Gazebo non sono “spettatori”, ma “accoliti”, cioè persone che si lasciano agganciare, quasi arruolare, dalla situazione costante, dai ruoli fissi, dal senso del tutto. Esattamente come accade nel 1985 con “Quelli della notte” di Arbore, di D’Agostino e di Ferrini, il comunista emiliano specialista in pedalò.
La materia trattata da Gazebo è ovviamente diversa, ma le costanti della struttura narrativa sono le medesime: ospiti fissi e fortemente caratterizzati, liturgie attese, continue palle alzate per le battute che “devono” esserci. Ci sono tutti gli elementi perché, dopo aver seminato prima in seconda e ora in prima serata, nella prossima stagione la rete possa essere confortata da numeri più elevati. Ma intanto possiamo osservare che, pur con numeri contenuti e pur ammiccando a un pubblico complice, Gazebo non appare fuori posto su una rete generalista dove ci si rivolge a “tutti” e non alle nicchie.
Per contro, ad esempio, X Factor sembra a suo agio su Sky, con tutto che andando in onda sulla pay tv si esclude dai molti milioni di spettatori, che certamente la seguirebbero su una rete free, e questo perché si tratta comunque di una trasmissione per appassionati, sia pure tantissimi. Perché, invece, Gazebo risulterebbe imbalsamato su un canale che ne condizionasse a priori le possibilità espansive, anche verso spettatori che al momento neppure si sognerebbero di vederlo.
La ragione che assegna a Gazebo un carattere strutturalmente “generalista”, sta nel fatto che non è una sfilza di numeri comici “a tema”, ma, a modo suo, un “discorso” sul mondo della politica, che utilizza la politica come specchio del Paese che le sta intorno. E, dunque, quel discorso, per sua natura, è comunitario e nazionale. Quindi è generalista dalla testa ai piedi perché è “per tutti”, anche se gli spettatori se li sta ancora conquistando uno per uno. Quasi un apostolato.