C’era Taffarel, con Osio e Benarrivo. C’erano Zola e Asprilla. Arrivarono Crespo, Thuram, Veron e Almeyda. Fino a Mutu e Adriano, prima della dieta alcoolica. Non finisce più l’elenco di campioni che hanno vestito la maglia del Parma tra il 1990 e il virar del millennio, così come non mancarono onesti gregari, caratteristi del pallone e bidoni milionari. Per un decennio abbondante i tifosi italiani furono testimoni di una delle epopee più travolgenti del pallone contemporaneo, di cui oggi rintocca il de profundis. Sul doping caseario che innescò e garantì il successo a quell’avventura si tornerà più avanti. Negli anni Ottanta nulla lasciava presagire l’imminente popolarità internazionale dei ducali, nati Parma Foot Ball Club nel dicembre di 102 anni fa.

Allora il club era nelle mani di Ernesto Ceresini, imprenditore edile della zona il cui più grande merito fu l’assunzione, nel 1985, di Arrigo Sacchi. Quelli bravi, a Parma, si riconoscono subito. É il caso dell’ex difensore di Fusignano che centrò la promozione al primo tentativo, è il caso di Nevio Scala. Non aveva un gran curriculum quando si presentò, pochi mesi dopo festeggiava la prima storica volta dei suoi nel calcio dei grandi. Era il 1990 e tutto successe molto in fretta. La morte prematura di Ceresini spalancò le porte della società a Callisto Tanzi, parmigiano di Collecchio e già sponsor del club. La squadra era sfrontata: per due anni di fila, con il 3-5-2 e gli esterni sempre in cerca della riga di fondo, il Parma fu sesto. Il secondo anno di A coincise con il primo titolo in bacheca: a sette anni dalla C la Juve era sconfitta e la Coppa Italia prendeva la via Emilia.

Dopo Brolin e Di Chiara firmarono Asprilla, Sensini, Zola e Couto: i campioni ora ambivano Parma. Nel 1993 arrivò il trionfo internazionale (Coppa delle Coppe): Minotti, Cuoghi e Melli confezionarono il 3 a 1 che congedò l’Anversa. Nella stagione 1994-95 la sfida con la Juventus assunse i contorni dell’epica e superò i confini nazionali: in finale due gol di Dino Baggio fecero di nuovo saltare il lucchetto alla bacheca, che si arricchì della prestigiosa Coppa Uefa. Per salire anche l’ultimo gradino Tanzi si regalò Fabio Cannavaro e Hristo Stoichkov, accolto da duemila persone al Tardini. Il Pallone d’Oro, però, deluse. Vittima del fugace bagno d’umiltà fu proprio Nevio Scala, che concluse la sua esperienza parmigiana. “Senza essere presuntuoso posso dire che Parma è una mia creatura – spiega Scala a ilfattoquotidiano.it – Sono stati sette anni meravigliosi: siamo partiti dalla B e siamo arrivati ai vertici del calcio continentale, ci è mancato solo lo scudetto dove c’erano realtà più attrezzate di noi. Solamente a parlarne sono ancora emozionato, ricordo ogni partita giocata in quegli anni. Lavoravamo tanto sul campo e dal punto di vista psicologico e discutevamo ogni giorno, l’impegno e la giusta dose di fortuna ci hanno portato in alto. Ho allenato grandi giocatori, ma non voglio fare nomi perché il segreto dei nostri successi fu il gruppo, la dedizione di venti ragazzi che remavano dalla stessa parte. Non ci sentivamo una squadra di provincia e scendevamo in campo senza paura, consapevoli che solo se avessimo trovato un avversario più forte di noi avremmo perso. Mi piacerebbe che questa filosofia oggi tornasse di moda”.

I fasti del Parma non terminarono con la fine della gestione Scala, ma qualcosa cambiò. Prima arrivò Ancelotti, poi toccò a Alberto Malesani. Ogni estate il calciomercato riservava un grande nome: Thuram dietro, davanti Crespo e Enrico Chiesa. In porta fece il suo esordio un predestinato: Gigi Buffon. Nel 1997 un rigore dubbio assegnato alla Juve da Pierluigi Collina negò il tricolore ai biancoblu. Negli anni successivi la città festeggiò di nuovo la Coppa Italia e la Uefa, vinta in finale tre a zero contro il Marsiglia. Ormai erano gli anni zero, quelli delle Sette Sorelle. Tra il 2003 e il 2004 i guai di Callisto Tanzi portarono alla luce il sistema criminale che aveva ordito uno dei più ingenti crac che cronache e azionisti ricordino. Il club, che aveva partecipato all’evasione miliardaria orchestrata dal patron, fu messo in amministrazione controllata. Arrivò per la prima volta dopo tanti anni la Serie B e Parma sparì dalle cartine del pallone europeo. Non poteva garantire quei livelli Tommaso Ghirardi, che nel 2007 si era sobbarcato oneri e onori della rifondazione.

Per la seconda volta il castello di carte crollò, il finale in farsa è stato interpretato da Manenti e Taci. “Le cose si misero male quando i dirigenti della società scelsero di investire sui grandi nomi, fu l’inizio della fine – dice Scala – Furono commessi peccati di presunzione, il senso delle dimensioni andò perduto. Finché io rimasi in panchina era impossibile avvertire la degenerazione. Ho vissuto la fine della Parmalat dall’Ucraina, dove ero andato a allenare, e soffrii”. Oggi il Parma, dopo una stagione di vergogna e orgoglio, è una squadra fallita. Nevio Scala si dice disposto a sottrarre energie alla sua amata vigna per dare una mano. “Quando arrivai feci una promessa ai tifosi: farò in modo che voi veniate allo stadio, dissi. Il pubblico, esigente e capace di grande amore sportivo, recepì, entusiasta del bel gioco e dell’impegno profuso. La memoria di quegli anni rimarrà indelebile, non scomparirà con il declassamento. Sono profondamente rammaricato, ma spero che a breve qualcuno si adopererà per riportare la società ai livelli suoi propri”.

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