La mobilità sociale in Italia non esiste. Studiare, scegliere il liceo e iscriversi all’Università resta una questione di classe. Da una parte i figli dei laureati dall’altra il popolo dei tecnici e dei professionali con mamma e papà con il diploma o la licenzia media in tasca.

Sono passati quasi cinquant’anni da quando don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana con “Lettera a una professoressa” denunciava l’ingiustizia del sistema d’istruzione italiano ma è cambiato ben poco da allora. A guardare il focus, diffuso ieri dal ministero, sulle immatricolazioni all’Università dell’anno 2014-2015, c’è da preoccuparsi: è vero che il 92% dei diplomati con voto 100 sceglie di proseguire gli studi, ma la metà circa di questi giovani non mette piede negli atenei. Si ferma.

Ad aggravare la situazione è il fatto che dall’analisi del Miur si scopre che solo l’11,4% dei diplomati dei professionali va all’Università, una percentuale che cresce al 30,8% per i diplomati agli istituti tecnici, raggiunge il 66,5% di chi ha una maturità linguistica e svetta oltre l’80% per i liceali.

Il focus elaborato da viale Trastevere, sui dati Istat, rivela un ulteriore dato: guardando i grafici si scopre che più alto è il titolo di studio dei genitori, maggiore è la percentuale dei ragazzi che si iscrivono al liceo. Se mamma e papà hanno frequentato un ateneo è praticamente impossibile che il loro pargolo finisca in un professionale. La scala sociale è bloccata dalla questione famigliare e dal voto agli esami di terza media: “La percentuale di ragazzi che si iscrive al liceo – cita il focus – è direttamente proporzionale al voto ottenuto. Il 44, 1% degli studenti che escono con un “sei” finisce nei tecnici e il 34,4% ai professionali. Solo con l’otto si invertono le tendenze: il 63,2% sceglie il liceo; il 30,8% i tecnici e il 6% le scuole professionali”.

A complicare il tutto è il voto al diploma: anche in questo caso c’è una diretta proporzionalità tra il risultato all’esame di Stato e la percentuale di immatricolati. A prendere 100 sono il 7% dei liceali a fronte di un 1,8% ai professionali. Così i “sessanta” sono riservati ad una bassissima percentuale di liceali (5,6%).

Non è la prima volta dall’altro canto che l’argomento viene affrontato: Marco Magnani, responsabile del progetto di ricerca “Italy 2030” nel suo libro “Sette anni di vacche sobrie” aveva analizzato il fenomeno giungendo alla conclusione che “il Paese nei decenni scorsi, aveva un’elevata rigidità sociale e le chance di mobilità degli appartenenti alle diverse classi erano profondamente diverse. Al massimo si è verificata una mobilità di medio raggio”.

Resta un ultimo aspetto che il focus del Miur rileva: tra le prime dieci professioni in cui sono introvabili i diplomati ci sono i commessi, i montatori di macchine industriali, gli autisti di furgoni, gli addetti di mansioni semplici da segreteria, i tornitori così come gli sviluppatori di software e i programmatori informatici. Tutte professioni differenti che sono ricercate.

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