La musica può, la musica deve (qualora possibile) sostenere e far proprie le giuste cause, quelle per cui basta anche solo il cosiddetto buon senso per avvertirle tali. È il caso questo di tutta la musica che è passata, anche in quest’ultima edizione (la quinta oramai), a ‘Trame’ (17-21 giugno), il festival dei libri sulle mafie che si tiene annualmente in provincia di Catanzaro, in una città gravemente segnata da quella che è già passata alla storia come la ‘Faida di Lamezia Terme‘: una lunga guerra tra le principali cosche del territorio iniziata nel 2000 e protrattasi, nonostante alcune sospensioni temporali, fino ai giorni nostri. Una guerra il cui numero delle vittime si aggira intorno alla cinquantina e che ha ripetutamente trascinato il centro termale della provincia di Catanzaro sulle cronache di tutti i media nazionali.
Realizzare un festival come ‘Trame’ in un contesto del genere, in un contesto nel quale negli ultimi anni imponenti operazioni di polizia hanno portato all’arresto di tutti i principali esponenti dei clan protagonisti della guerra fratricida, ha un significato superiore. Significa infatti affermare la cultura della legalità e dell’impegno civile in uno dei quartier generali della ‘ndrangheta, un luogo nel quale il tipico botto dei fuochi d’artificio viene facilmente equivocato con il tonfo delle bombe piazzate agli esercizi commerciali che non si piegano al vile ricatto dell’estorsione: quel luogo i cui gli abitanti non dimenticano il poliziotto Salvatore Aversa e la moglie, Lucia Precenzano, entrambi barbaramente uccisi la sera del 4 gennaio 1992 in un feroce agguato di stampo mafioso.
Assistere al concerto de Il Parto delle Nuvole Pesanti subito dopo aver ascoltato Don Giacomo Panizza, il prete fondatore a Lamezia Terme della comunità per disabili Progetto Sud e autore del libro ‘La mafia sul collo. L’impegno della Chiesa per la legalità nella pastorale’, assume tutto un altro significato, specie se il giorno precedente a nutrire di contenuti il pubblico del festival era il reading dell’attore Luigi Lo Cascio, già protagonista del celebre ‘I cento passi’, film sulla figura di Peppino Impastato, giornalista vittima nel ’78 di Cosa Nostra.
Assistere al frontman dei Tinturia, Lello Analfino, esibirsi in trio nel contesto di una cinque giorni nella quale si spazia dai codici di affiliazione alla ‘ndrangheta alle ultime verità sull’omicidio del giornalista Giancarlo Siani, dalle testimonianze sull’omicidio di Don Peppe Diana, anch’egli come Siani vittima della camorra, alle strategie criminali ‘ndranghetiste nel contesto sociale lombardo, fino ai più recenti fatti di mafia capitale e allo spinosissimo tema delle ecomafie calabresi, assume tutto un altro profumo: un grande momento nel quale la musica concorre a formare coscienza collettiva intorno ad un nuovo modo di intendere il proprio vivere quotidiano, il modo migliore, da cittadino e non più solo osservatore.
Un festival, musicalmente e contenutisticamente, in grado di guardare non solo alle zone di mafia ma all’intero Paese, all’Italia tutta. Un’Italia che, attraverso la figura e la musica di un De Andrè visto e vestito dei panni di un Virgilio traghettatore, viene raccontata da Le voci del tempo nella prospettiva privilegiata del rapporto tra le canzoni del Faber genovese e la società di cui le stesse parlano: un lungo viaggio nel tempo attraverso quarant’anni di storia italiana.
E poi ancora, infine, il jazz del pianista Francesco Scaramuzzino e della sua band, oramai ospite fisso della cinque giorni lametina di cultura antimafia e che a proposito del senso profondo di partecipare a una manifestazione del genere dice: “La musica simboleggia la libertà e la purezza dell’animo umano. Testimonia una via importante all’acquisizione della conoscenza e della bellezza. In altre parole aiuta a crescere secondo i valori più importanti e più sani, elementi imprescindibili che ritroviamo in contesti come quello di Trame”.