La Musica è Lavoro

Tricarico: “I talent show? Una barbarie. La musica non ha più poesia”

A quindici anni dal tormentone "Io sono Francesco", il cantautore milanese torna con "La Mela", che racconta con un realismo quasi rassegnato la situazione attuale del nostro Paese, tra uomini della Provvidenza e incapaci

di F. Q.

È sempre il personaggio stralunato e sognatore degli esordi e del tormentone “Io sono Francesco” (numero 1 in classifica nel 2000), ma Francesco Tricarico oggi è anche un artista che ha superato da qualche anno i quaranta, ha accumulato una certa esperienza, ha collaborato con alcuni grandi nomi della canzone italiana e oggi può permettersi anche di uscire con un singolo molto politico (“La Mela”), che racconta con un realismo quasi rassegnato la situazione attuale del nostro Paese. Continua a essere un irresistibile alieno, in un mondo della canzone che sente sempre più distante dal suo modo di intendere la musica, e non ha problemi a scagliarsi contro il fenomeno pigliatutto del talent show: “Una barbarie!”.

Il tuo ultimo brano “La Mela” è sull’Italia e sulla situazione politica, sociale ed economica attuale. Sbaglio o è un pezzo un po’ pessimista?
Pessimista no, è realista. Il momento è difficile ma soprattutto ci sono persone incapaci, in tutte le posizioni: nella musica, nella cultura, nella politica. Non sono proprio in grado.

Tra i politici non salvi nessuno?
Non mi chiedere dei nomi, non mi schiero. Non fa parte della mia etica prendere una posizione. E poi io scrivo anche per i maiali: a me interessa che quello che faccio arrivi a tutti. Mi interessa la verità. Schierandomi già farei un torto a qualcuno. Sicuramente c’è qualcuno che apprezzo più degli altri, pochi. Qualcuno si salva, magari un giorno ti faccio i nomi…

Hai sempre vissuto la musica in maniera timida, almeno all’apparenza. Ci spieghi cosa significa per te fare musica?
Innanzitutto è il mio mestiere. È come se io fossi un artigiano andato a bottega: l’ho imparata da piccolo, facendo il Conservatorio. È quello che so fare, che poi fortunatamente ha a che fare con la mia persona. Ho tanti conflitti dentro di me e la musica mi ha permesso di metterli a fuoco.

In un periodo di crisi del mercato, ha ancora senso fare dischi?
Sì, alla musica del mercato non è mai fregato più di tanto. Una volta c’erano i mecenati, al tempo di Mozart o Bach. C’era la Chiesa, c’erano i committenti, i nobili, i regnanti. Poi il mercato era diventato il mecenate, ossia se tu vendevi andavi avanti.
Ma c’è sempre bisogno di musica. Il problema è che sono cambiate delle cose attorno, fattori economici che sono estremamente ridicoli in questi momenti.

Cosa pensi del fenomeno dei talent show?
I talent sono la barbarie. La musica non deve essere quello, è una cosa ridicola. Siccome la musica in crisi, poi, non è solo un fenomeno tra i tanti ma IL fenomeno, perché gli investimenti sono tutti lì. Se ci fossero anche altre cose, non me ne fregherebbe nulla, ma ahimè me ne frega perché vedo tutti inginocchiati davanti a certi personaggi, davanti al potere dei talent. Probabilmente lo farei anche io se mi chiedessero di condurne uno, perché in fondo siamo tutti poveri e si fa tutto. Ma a volte ci si svende, e la musica non si meritava di abbassarsi a questo.

Com’è la musica al tempo dei talent?
Non c’è più mistero, non c’è più poesia. Esci da un talent, sei Mengoni, sei Emma, sappiamo tutto di te, sei controllabile, ricattabile. Sei normale, mentre una volta la normalità non c’era, c’era l’eccezione. Oggi l’eccezione preoccupa, siamo alla normalizzazione di qualcosa di anormale, di aggressivo, di rivoluzionario. Prima si aggregavano le persone, adesso che ti aggreghi? Andando a sentire Emma non ti aggreghi, ma potrei fare anche tutti i nomi di chi è uscito da un talent. E parlo da ascoltatore, non da interprete, perché a parte qualche canzone io non sono mai passato in radio, sicuramente per colpa mia e mancanza mia. Ma la musica è stata svilita da tutte le persone che ci lavorano attorno: dall’editoria musicale fatta coi piedi, dai talent che trattano la musica con le categorie di giusto e sbagliato, categorie che non ci dovrebbero essere. C’è l’arte, la verità. La canzonetta nel suo piccolo ambisce a quello. Chiunque ambisce a quello, anche il mio panettiere che è un fuoriclasse, un artista. È vero, sincero, è da solo. Ha a che fare con se stesso, con la propria coscienza. E la coscienza è stata rimossa. C’è qualcuno che ti dice cosa è bello e cosa è brutto e chi ascolta musica è vittima inconsapevole di questo. È un momento terribile.

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