La Corte ha dichiarato incostituzionale il congelamento delle buste paga che va avanti dal 2010, ma la sentenza non ha effetto retroattivo. Dribblato il rischio di un buco da 35 miliardi nei conti pubblici. L'esecutivo ora dovrà riavviare le trattative con i sindacati e stanziare nella prossima legge di Stabilità le risorse per il rinnovo dei contratti. Per Michele Lioi, legale di Flp e Fialp, "è saltato un metodo che si è imposto per cinque anni senza che Cgil, Cisl e Uil muovessero un dito"
Salvo in extremis. La Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il blocco dei contratti degli statali. Ma non per il passato bensì “con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza”. Il governo guidato da Matteo Renzi dribbla così il rischio di un buco miliardario nei conti pubblici: secondo l’Avvocatura dello Stato risarcire tutti i dipendenti pubblici per i mancati introiti degli ultimi cinque anni sarebbe costato 35 miliardi di euro. Una bomba a orologeria di portata superiore al 2% del prodotto interno lordo, a cui l’esecutivo avrebbe dovuto far fronte subito dopo aver messo una pezza all’ammanco aperto dal verdetto sulla mancata rivalutazione delle pensioni.
In seguito al pronunciamento, in ogni caso, il governo dovrà stanziare nella prossima legge di Stabilità le risorse necessarie per “scongelare” i trattamenti salariali dei circa 3,3 milioni di statali fin dal mese prossimo, visto che la pubblicazione della sentenza è attesa a giorni. Anche se probabilmente i versamenti non partiranno prima del 2016. Stimare quanto costerà l’operazione non è ancora possibile, visto che, a differenza del caso delle pensioni, qui il quantum dell’aumento – comunque legato all’andamento dell’inflazione – sarà determinato al tavolo delle trattative con i sindacati. Il Documento di economia e finanza dello scorso anno stimava il costo potenziale in 1,7 miliardi per il 2016, che cumulati all’esborso degli anni successivi diventerebbero 4,1 ne 2017 e 6,6 nel 2018. Ma le cifre effettive, appunto, saranno note solo a valle del rinnovo.
“Abbiamo vinto su tutta la linea perché è saltato un metodo, quello del blocco, che si è imposto per cinque anni – caso unico nella storia d’Italia – senza che Cgil, Cisl e Uil muovessero un dito”, è il commento di Michele Lioi, avvocato che ha presentato il primo ricorso contro il blocco per conto delle sigle Flp (lavoratori civili della Difesa) e Fialp (Federazione italiana autonoma lavoratori pubblici). “Ora dovrà ripartire la contrattazione e le parti si accorderanno sull’entità degli adeguamenti“. Anche Pasquale Lattari, legale di Confsal Unsa – sigla presente soprattutto nei ministeri – rivendica: “La Corte ha fatto propria la nostra tesi. La proroga del congelamento decisa dal governo Renzi l’anno scorso viene dichiarata illegittima: ora l’esecutivo dovrà aumentare le retribuzioni fin dall’1 luglio”.
Le buste paga dei dipendenti pubblici sono ferme da quando, nel 2010, un decreto del quarto governo Berlusconi ne ha imposto il blocco coattivo per il 2011, 2012 e 2013. Con un risparmio per le casse pubbliche stimato in oltre 11 miliardi di euro. La legge di Stabilità dell’esecutivo Letta ha poi rinnovato il congelamento fino alla fine del 2014, disponendo anche una moratoria del turn over, ovvero il ricambio generazionale, fino al 2017. Nell’aprile 2014 il ministro della pubblica amministrazione Marianna Madia aveva detto che sarebbero stati sbloccati, ma in sede di approvazione della nuova manovra il governo non ha trovato le risorse, per cui i contratti sono rimasti ancora al palo. Una proroga ora bocciata dalla Corte.
La memoria presentata dall’Avvocatura dello Stato aveva rilevato che “l’onere” della “contrattazione di livello nazionale, per il periodo 2010-2015, relativo a tutto il personale pubblico”, sarebbe stato “non inferiore a 35 miliardi”, con “effetto strutturale di circa 13 miliardi” annui dal 2016. “Di tali effetti”, scrivevano i legali nel documento consegnato alla Consulta, “non si può non tenere conto a seguito della riforma costituzionale che ha riscritto l’articolo 81 della Costituzione“, recependovi il principio dell'”equilibrio fra le entrate e le spese”. Cioè del pareggio di bilancio.