La macchina dei mass media è, per lo più e parafrasando Sraffa, produzione di luoghi comuni a mezzo di luoghi comuni giacché il più delle volte rimesta quel che le capita negli ingranaggi. Quindici anni fa non se ne poteva più di sentirsi annunciare la rivoluzione del digitale terrestre, che avrebbe inondato le case di canali colmi di ogni ben di dio. In realtà a spingere era la necessità di riorganizzare lo spettro per favorire lo sviluppo della telefonia mobile e del traffico dati.
Ma l’argomento non sarebbe stato abbastanza glamour alle orecchie della casalinga di Voghera, e così, giù a promettere il bengodi del telecomando. E ovviamente, la moltiplicazione dei canalini (cento? Duecento? Magari anche di più) avrebbe portato con sé il trionfo della offerta di target in ogni campo, dalla informazione alla educazione, per non dire dell’intrattenimento. Con la conseguente evaporazione dell’ancien regime generalista.
E poi leggi, un paio di giorni fa, l’intervista a Soldi, la direttrice di Discovery Italia. Discovery, per chi non lo sa, è l’unico soggetto che, dove Rai e Mediaset hanno dato semplicemente la stura a un nugolo di canaletti di genere, qualche canaletto televisivo di target lo abbia allestito per davvero, a favore della convocazione differenziata di alcune tribù del telecomando: youngster in cerca di sensazioni forti, betty boop anelanti al fremito, bulimici della sbalordimento scientifica, e via sezionando (DMAX, Real Time, Focus, etc). Tribù che sommate insieme assicurano il 7,5% dell’audience e, supponiamo duopolio permettendo, i corrispondenti ricavi di pubblicità.
Ebbene, proprio la Soldi spiega di avere acquistato dal Gruppo Espresso il tasto 9 del telecomando, l’ultimo adatto alla bisogna, perché non vedeva l’ora di poter varare una autentica tv generalista. E sottolinea, anzi, che tutta l’abbuffata di target fatta finora è servito a conquistare “una certa solidità”, insomma a farsi le ossa, come in Karate Kid, per azzardare il salto verso il passato. Che evidentemente passato non è, e per due fondamentali ragioni.
La prima ragione è che la funzione genetica della tv generalista, e cioè la convocazione della comunità, possiede natura strutturale e non accidentale. E dunque non può, checché se ne sia detto e ancora se ne dica, essere transitoria, anche se la organizzazione, le formule e i contenuti debbono continuamente cambiare (ovunque, ma in Italia più strutturalmente e ampiamente che altrove).
La seconda ragione è che i vari Xplay (Google Play, Amazon Play etc) spacciatori di streaming nonché i vari Netflix che immagazzinano e concedono, a modico pagamento, di tutto e di più, stanno spazzando via sia la vecchia pay tv sia il caravanserraglio dei cento canaletti del digitale terrestre, ma non la dimensione generalista del consumo “televisivo”, legata, proprio perché generalista, ai primi numeri del telecomando. Quelli dove, per così dire, ti trovi “naturalmente”, prima che ti venga l’uzzolo di rovistare altrove.
E adesso non resta che cronometrare quanto ci metterà il caravanserraglio degli esperti ex becchini del generalismo, a spargersi per tutti i media proclamando l’atteso: “L’avevo detto!!!”