A mio sommesso avviso, il maggior pregio della recente enciclica papale sull’ambiente Laudato si’ consiste nel quadro complessivo che viene delineato, da cui derivano rilevanti implicazioni di tipo politico generale che possono apparire “rivoluzionarie” rispetto alla normale cautela della Chiesa verso la politica.

In realtà, i singoli temi rilevanti ci sono tutti. Ne cito qualcuno:

L’acqua non può essere privatizzata o trasformata in “merce soggetta alle leggi di mercato”’; i mari stanno trasformandosi in “cimiteri subacquei” a causa delle attività umane; l’era del petrolio e dei combustibili fossili deve essere sostituita “senza indugio” dalle energie rinnovabili’; ‘Le leggi ambientali possono essere redatte in forma corretta, ma spesso rimangono lettera morta’; netta condanna del consumismo e dell’attuale ‘modello distributivo in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare…’; valorizzazione della ricerca; preoccupazione per il ‘tremendo potere’ della tecnologia accentrata in ‘una piccola parte dell’umanità’; ripudio della ‘concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese e degli individui’; proclamare la libertà economica quando si riduce l’accesso al lavoro ‘diventa un discorso contraddittorio che disonora la politica’.

Quanto all’ecologia in particolare, il Santo Padre evidenzia che ‘cresce un’ecologia superficiale o apparente che consolida un certo intorpidimento e una spensierata irresponsabilità’ che ‘ci serve per mantenere i nostri stili di vita, di produzione e di consumo’.

Per la Chiesa, invece, ‘la cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico. Diversamente, anche le migliori iniziative ecologiste possono finire rinchiuse nella stessa logica globalizzata. Cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale.

Insomma, occorre una profonda trasformazione politica, che abbandoni i dogmi della crescita, del mercato e del Pil.  Infatti, ‘è realistico aspettarsi che chi è ossessionato dalla massimizzazione dei profitti si fermi a pensare agli effetti ambientali che lascerà alle prossime generazioni? All’interno dello schema della rendita non c’è posto per pensare ai ritmi della natura, ai suoi tempi di degradazione e di rigenerazione, e alla complessità degli ecosistemi che possono essere gravemente alterati dall’intervento umano. Inoltre, quando si parla di biodiversità, al massimo la si pensa come una riserva di risorse economiche che potrebbe essere sfruttata, ma non si considerano seriamente il valore reale delle cose, il loro significato per le persone e le culture, gli interessi e le necessità dei poveri’.

Il progresso, cioè, è cosa ben diversa dalla crescita e ‘dobbiamo convincerci che rallentare un determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo ad un’altra modalità di progresso e di sviluppo’. Per questo è fondamentale il ruolo della politica. Infatti ‘non si può giustificare un’economia senza politica, che sarebbe incapace di propiziare un’altra logica in grado di governare i vari aspetti della crisi attuale’.

Tanto più che ‘una strategia di cambiamento reale esige di ripensare la totalità dei processi, poiché non basta inserire considerazioni ecologiche superficiali mentre non si mette in discussione la logica soggiacente alla cultura attuale. Una politica sana dovrebbe essere capace di assumere questa sfida’. In questo quadro, ‘la sobrietà vissuta con libertà e consapevolezza è liberante. Non è meno vita, non è bassa intensità, ma tutto il contrario’.

Sembra di risentire Enrico Berlinguer quando, molti anni fa, affermava che “la politica di austerità quale è da noi intesa, può essere fatta propria dal movimento operaio proprio in quanto essa può recidere alla base la possibilità di continuare a fondare lo sviluppo economico italiano su quel dissennato gonfiamento del solo consumo privato, che è fonte di parassitismi e privilegi, e può invece condurre verso un assetto economico e sociale ispirato e guidato dai principi della massima produttività generale, della razionalità, del rigore, della giustizia, del godimento di beni autentici, quali sono la cultura, l’istruzione, la salute, un libero e sano rapporto con la natura…».

All’epoca nessuno lo ascoltò. E oggi? E’ prevedibile una totale inversione di rotta da un governo che, tanto per fare qualche esempio, punta tutto sulla “crescita”, che autorizza trivellazioni petrolifere nei nostri mari più preziosi, che propugna “tutto inceneritori” –e, quindi, il massimo del consumismo con usa e getta, o ci sforna leggi ambientali mal fatte eliminando quei pochi organi di controllo (come il Corpo Forestale dello Stato) esistenti sul territorio?

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