“Sono innocente e lo dimostrano i fatti”. Palazzo di giustizia di Milano. Per la prima volta parla in aula Antonino Benfante, detto “Nino Palermo”. Lo fa per scrollarsi di dosso l’accusa di aver ucciso tre persone: Paolo Simone ed Emanuele Tatone, freddati la mattina del 27 ottobre 2013 agli orti di Via Vialba. E poi Pasquale Tatone inchiodato al sedile della sua auto la sera del 30 ottobre in via Pascarella, cuore di Quarto Oggiaro. Lo fa davanti ai giudici della Corte d’Assise e al pm Laura Pedio che per lui ha chiesto la condanna all’ergastolo e quattro anni di isolamento diurno. Mentre il suo avvocato Corrado Viazzo punta all’assoluzione: “Da 15 anni Benfante è malato di Parkinson, un male irreversibile che non perdona. E’ impensabile che in queste condizioni possa aver sparato in equilibrio precario mandando a segno i colpi con precisione”. Secondo il legale “non ci sono prove a suo carico e anche la ragione dell’omicidio non è mai stata chiarita”.
Tutto chiaro invece per l’indagine della Procura, istruita dal pm Daniela Cento e poi passata nelle mani della Pedio, da poco trasferita alla Dda. La Squadra mobile guidata da Alessandro Giuliano arriva a Benfante il 5 dicembre 2013: cerchio chiuso in poco più di un mese. Il movente di quella mattanza – per chi indaga – è legato all’ambizione di uno spacciatore di medio livello: piazzare qualche bustina nel quartiere. Per farlo – ragionano gli inquirenti – ha dovuto togliere di mezzo due esponenti di una delle famiglie più altolocate nella gerarchia criminale di Milano. Piccolo spaccio, insomma. La malavita organizzata non c’entra. Anche se, sia dal passato di Benfante che da quello dei Tatone, emergono legami con alcuni pezzi da novanta.
Come Biagio Crisafulli, detto Dentino, alla cui ombra si incrociano i destini di Benfante e dei Tatone. Entrambi hanno smerciato droga per lui, ma in due momenti storici diversi. Fino al 2007 i luogotenenti di Dentino sono Luigi Giametta, Francesco Castriotta, detto Gianco, Giordano Filisetti, detto Baffo tingiuto e Nino Palermo. Poi, però, Crisafulli cambia le regole del gioco: sposta il giro di spaccio dalle mani di Gianco e i suoi a quelle dei Tatone. Adesso a fare le veci dei Crisafulli sono loro, che vengono riabilitati nel quartiere dopo che per anni sono stati bollati come “infami”. E la loro entrata in scena, di fatto, spazza via la batteria di Benfante.
Ma quello con i Crisafulli non è l’unico contatto di peso che Nino Palermo ha con esponenti della criminalità organizzata. Per capire meglio bisogna tornare alla sera di quel 5 dicembre, quando gli uomini della Mobile lo arrestano e perquisiscono la sua abitazione in via Lessona 1. Salta fuori un mazzo di chiavi che apre un box di via Val Lagarina 42.Benfante lo ha preso in affitto. Il proprietario è Vincenzo Novella classe ’49 nato a Guardavalle con precedenti per mafia e traffico di droga. Novella, recitano le informative, “è indicato come un appartenente alla cosca Gallace-Cimino”. Ed è fratello di Carmelo, ammazzato nel 2008.
Oltre ai Novella, spuntano dal passato di Nino Palermo contatti con personaggi legati alla potente cosca dei Papalia, come i fratelli Varacalli, Francesco e Giuseppe, che Benfante – ricostruisce la Mobile – incontra nei giorni successivi agli omicidi. Per capire chi sono i Varacalli bisogna fare un salto indietro nel tempo fino al 2012 e all’indagine Grillo Parlante che portò in carcere 40 persone, tra cui l’ex assessore regionale Domenico Zambetti. Scrivono i carabinieri: “I fratelli Varacalli sono legati per parentele e affinità a famiglie di ‘ndrangheta”.
E nella sua lista dei contatti c’è anche un nome di spessore: quello del superboss Pepè Flachi. Nel 2012, Benfante partecipò a un tentativo di estorsione insieme a uomini legati al suo clan. Questo il curriculum criminale di Nino Palermo, che si chiude con l’accusa di essere il killer dei Tatone e di Paolo Simone. Il prossimo 8 luglio i giudici di primo grado diranno se è colpevole o innocente.