Un buco da un miliardo. Un cardinale che vuole muovere 30 milioni all'insaputa di papa Francesco. Convulse trattative notturne che coinvolgono il ministero retto da Federica Guidi. E, alla fine, la vendita della casa di cura del gruppo Idi all'imprenditore della sanità Sansavini. Al prezzo di un monolocale. II vicepresidente della nuova Fondazione: "Un'azienda vale quello che produce, valutazione fatta da un'azienda terza"
C’è un buco da un miliardo – o forse più – da risanare. C’è un ospedale gioiello della sanità vaticana al centro di inchieste da ormai quattro anni. E c’è un cardinale che, intercettato, spiega al suo uomo di fiducia come occultare informazioni chiave a papa Francesco. Veleni, intrighi e un fiume di soldi nel ventre di Roma, tra gli uffici in stile umbertino dei ministeri e le stanze dei poteri d’oltretevere.
La trama che si nasconde dietro le intercettazioni delle telefonate tra il cardinal Giuseppe Versaldi – già ministro delle finanze vaticane – e l’ex manager del Bambin Gesù Giuseppe Profiti è solo la classica punta di iceberg. “Un vaso di Pandora che si sta per scoperchiare”, commentano nell’ambiente. Una storia che ilfattoquotidiano.it ha potuto ricostruire nei dettagli, grazie a documenti esclusivi.
I frati e il ruolo dello ministero dello Sviluppo economico
Seguendo la classica pista dei soldi, occorre partire dai trenta milioni di euro, cifra che papa Francesco non doveva conoscere. È il 26 febbraio dello scorso anno, quando Profiti – all’epoca manager del Bambin Gesù, ospedale che appartiene alla santa sede – parla con il suo referente cardinal Versaldi dei fondi da sottrarre all’ospedale pediatrico romano a favore dell’Idi, l’ospedale dermatologico della Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione al centro di uno scandalo finanziario e giudiziario iniziato nel 2011, vicenda per cui pende una richiesta di rinvio a giudizio per decine di frati ed ex manager.
Giuseppe Versaldi dal 2013 era a capo della Congregazione dei figli dell’Immacolata concezione, in qualità di commissario nominato da Benedetto XVI (l’ultimo atto firmato dal pontefice emerito prima delle dimissioni). Giuseppe Profiti, a sua volta, aveva ricevuto la delega di subcommissario dalla stesso Cardinale e si occupava degli affari non ecclesiastici. In altre parole del vero core business dei religiosi, l’impero composto da due ospedali – oltre all’Idi, il San Carlo di Nancy, ospedale generalista a pochi passi dal Vaticano – e da una serie di strutture riabilitative, oltre alla casa farmaceutica di Pomezia. Dunque al momento dell’intercettazione della telefonata da parte degli inquirenti di Trani, i due interlocutori occupavano un ruolo strategico.
C’è un secondo versante della storia che è bene tenere a mente. Parallelamente al commissariamento da parte del Vaticano della Congregazione, il gruppo sanitario – e di fatto la Provincia italiana della stessa congregazione – viene sottoposto al salvataggio attraverso le legge Marzano, proprio su richiesta di Giuseppe Profiti. Il debito accumulato, oggi stimato in almeno un miliardo di euro, aveva costretto gli ospedali ecclesiastici a portare i libri in Tribunale, con un rischio concreto di fallimento. Ed ecco che entra in scena il secondo attore, il ministero dello Sviluppo economico. Con un ruolo, come vedremo, da protagonista. Ogni mossa successiva al commissariamento dei conti dovrà, infatti, passare attraverso il Mise, che nomina i tre commissari liquidatori.
Entra in gioco il re della sanità romagnolo, Sansavini
Il piano di Versaldi e Profiti appare chiaro alla fine del 2014, quando la Congregazione presenta un’offerta di acquisto di quell’impero che la Provincia Italiana della congregazione stessa aveva mandato in default. Dovranno farlo con un nuovo soggetto, la fondazione “Padre Luigi Maria Monti”, dal nome del fondatore. C’è una prima proposta, da 160 milioni di euro, che viene respinta. Si va a gara, ma l’asta va deserta. Di nuovo una controproposta, di nuovo una seconda gara, anche questa senza risultati. Insomma, apparentemente nessuno sembra interessato agli ospedali del gruppo Idi, salvo la stessa Congregazione.
Il problema, per l’ente ecclesiastico guidato da Versaldi e Profiti, era reperire i soldi. Avevano strappato l’impegno al Vaticano di mettere 50 milioni di euro, ma non bastavano. Ed ecco la spiegazione di quei 30 milioni di euro che dovevano passare dal Bambin Gesù all’Idi, ovvero la cifra che Papa Francesco non doveva conoscere. Ma, qualche mese prima, Profiti era caduto in disgrazia, uscendo dall’ospedale pediatrico romano: non poteva più gestire quei fondi. Ed è in questo momento che entra in gioco il partner privato, che poi si scoprirà essere Ettore Sansavini, patron di una serie di cliniche con sede principale a Lugo di Romagna, feudo rosso da sempre. È l’uomo giusto, ben visto dalla stessa Federica Guidi – a capo del ministero dello Sviluppo economico – con la quale condivide, oltre alla comune origine romagnola, i legami con Confindustria dell’Emilia Romagna.
Una Srl per il San Carlo di Nancy
Siamo ad aprile, il momento del delicato passaggio delle quote dai commissari straordinari nominati dal Mise alla neocostituita Fondazione Padre Luigi Maria Monti. Il 10 aprile il direttore generale del ministero dello sviluppo economico Simonetta Moleti firma l’autorizzazione alla vendita, che dovrà avvenire tre giorni dopo. La cessione dell’ospedale San Carlo di Nancy non avverrà, però, alla Fondazione, ma ad una srl – che porta lo stesso nome – controllata al 100% dalla fondazione stessa. È un passaggio delicatissimo, perché è qui che dovrà entrare il socio privato, ovvero il gruppo di Sansavini. Su questo punto i paletti che pone il Mise sono, almeno al momento, chiari: “La Fondazione si impegna per almeno un biennio dalla stipula del contratto di cessione – si legge nel documento dello Sviluppo economico che ilfattoquotidiano.it ha potuto consultare – a non alienare” la srl che riceverà il San Carlo. Non solo. Il ministero prende atto che la Fondazione “è socio unico della predetta srl”. Un prescrizione chiave, perché – per una legge del 1968 – serve un proprietario senza fini di lucro per mantenere la cosiddetta “classificazione”, ovvero l’equiparazione dell’ospedale religioso ad una struttura pubblica. Una garanzia per i creditori, ma soprattutto per i medici dipendenti, che vengono equiparati ai colleghi del settore pubblico.
Il fine settimana compreso tra la firma dell’autorizzazione alla vendita e l’atto notarile vero e proprio, previsto per il lunedì mattina, è convulso. C’è una trattativa in corso con i sindacati, per avere le garanzie occupazionali e la certezza della solidità economica del nuovo gestore. Alla fine, domenica sera, l’accordo c’è. Tutto è pronto per la firma dell’atto di compravendita. Ma la notte non sempre porta consiglio.
Quanto vale l’ospedale? Meno di un appartamento
Lunedì mattina, quando mancano ormai poche ore per la cessione degli ospedali Idi, avviene un fatto che ha dell’incredibile. In poche ore il ministero risponde a una nuova nota della Fondazione diretta dal cardinal Versaldi e da Giuseppe Profiti, stravolgendo la prescrizione di tre giorni prima: “Autorizza la fondazione (…) per l’aumento del capitale sociale della neo costituita Luigi Maria Monti srl riservato al gruppo Villa Maria spa o comunque a società riconducibile al gruppo Sansavini”. Il tutto con il parere del comitato di sorveglianza ottenuto nel giro di pochissime ore. Vera efficenza renziana. Quella clausola che impediva la cessione dell’Ospedale San Carlo di Nancy prima di due anni salta, senza dare nessuna comunicazione ai sindacati dei lavoratori, che – dopo pochi giorni – si troveranno il re delle delle cliniche romagnole come nuovo padrone. “E’ accaduto questo perché, poco prima della firma, ci siamo accorti che non c’era la certezza del trasferimento dell’autorizzazione da parte della Regione Lazio”, spiega Gianluca Piredda, commercialista romano, vicepresidente della Fondazione.
Le sorprese non finiscono qui
Leggendo l’atto di compravendita esce fuori il prezzo dichiarato per la cessione del gruppo sanitario. Quanto vale il San Carlo di Nancy? Meno di un monolocale in zona semiperiferica, ovvero 241.140 euro. Questa la cifra dichiarata nell’articolo 3 dell’atto di cessione sotto la voce “Corrispettivi delle vendite dei rami aziendali”. In questa cifra è compreso tutto, meno le mura, che faranno parte di accordi successivi per l’intero passaggio delle quote alla Fondazione: attrezzature medicali, avviamento, accreditamenti, Tac, risonanze. Insomma, l’intero ospedale. “Deve sapere che un’azienda vale quello che produce – spiega Gianluca Piredda – sono metodi finanziari molto complessi che danno il valore. Su questo noi (la sua società di consulenza, ndr) siamo specialisti”.
Per le altre strutture -l’Idi e i centri di riabilitazione, vero tesoro del gruppo – il prezzo dichiarato è più alto: 4.119.432 euro. Ma ben lontano dalle diverse valutazione fatte dopo il crack del 2011. In sostanza sono queste le cifre che vengono dichiarate, anche ai fini fiscali. E i debiti? Nella proposta iniziale di acquisto del dicembre 2014 i debiti pregressi erano stimati in circa 100 milioni di euro e includevano i mutui ipotecari sulle mura, il Tfr e le retribuzioni arretrate dei dipendenti. Secondo i primi accordi la Fondazione avrebbe dovuto accollarsi questa cifra, inclusa nell’offerta complessiva, scesa a 146 milioni poco prima della vendita. Nell’atto di passaggio degli ospedali, però, la parte dei mutui viene rinviata a un successivo accordo per la cessione degli immobili – che nel frattempo passano alla Fondazione e alla nuova società che gestisce il San Carlo di Nancy in comodato d’uso gratuito – mentre non sono menzionati il Tfr e gli arretrati degli stipendi. Debiti, questi, che rimarranno alla “bad company” – cioè la Provincia Italiana della Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione – insieme a quanto ancora dovuto ai fornitori dalla vecchia gestione. “Questo è avvenuto – prosegue Piredda – perché il debito dell’amministrazione straordinaria è nel frattempo aumentato”.
Per quanto riguarda poi le responsabilità civili dei precedenti amministratori della Congregazione – oggi in buona parte sotto processo a Roma – c’è una una sorta di condono tombale. Una clausola che – in cambio di 15 milioni di euro (a fronte di un buco stimato di circa 1 miliardo) – esonera da ogni responsabilità i religiosi: “Le parti si danno atto – si legge nel documento – che con la presente transazione viene definita qualsiasi pretesa da parte dell’Amministrazione straordinaria (…) sia nei confronti della Provincia italiana che della Congregazione dei figli dell’Immacolata concezione”. Unica eccezione, si legge nell’atto, il diritto di costituirsi parte civile nel processo penale in corso contro gli ex amministratori.
Dal Ministero dello sviluppo economico commentano che “c’è una parte della compravendita che non è ancora andata in porto – riferiscono gli uffici a ilfattoquotidiano.it – e dobbiamo dire che il vero valore è la parte immobiliare, perché l’azienda è in realtà fallita”. Il Cardinal Giuseppe Versaldi preferisce invece non commentare: “Guardi, non ho curato io la parte tecnica – spiega – e per la valutazione del valore dell’ospedale San Carlo di Nancy ci siamo basati su una stima di una società terza”. Quale? “Non ricordo ora, ma in ogni caso tutto è stato autorizzato dal governo, dal ministero”.
Che fine hanno fatto i 144 milioni presenti nella proposta accettata nel marzo scorso? Difficile dirlo e molto difficile trovare questa cifra nell’atto di compravendita, anche considerando la parte destinata – con atto successivo – all’acquisto dei beni immobili (le mura degli ospedali).
Al San Carlo arriva il nuovo padrone
A fine maggio, un mese dopo la compravendita, scatta il passaggio dell’ospedale San Carlo di Nancy al gruppo Sansavini. Il capitale sociale passa da 10mila a 200mila euro, con il 95% delle quote in mano al Gruppo Villa Maria Spa, della famiglia Sansavini. La sanità romagnola mette un piede importante nella capitale, con la doppia benedizione: del Vaticano e del ministero dello Sviluppo economico.
Il valore dell’acquisizione non viene rivelato dal gruppo. Secondo Filippo Piredda il costo del passaggio del San Carlo dalla Fondazione al Gruppo Villa Maria sarebbe di 24,5 milioni di euro. Per la società riconducibile a Sansavini l’acquisizione sarebbe avvenuta in ogni caso in osservanza degli accordi sindacali “sottoscritti dalla Fondazione e dai commissari”. Con una spada di Damocle che pende sull’ospedale romano: “In questo momento GVM – spiega la società di Sansavini in una nota stampa – è fortemente impegnata ad ottenere dalla Regione la presa d’atto dell’avvenuto trasferimento dell’autorizzazione e del relativo contratto di fornitura”. Ovvero carte fondamentali che ancora non ci sono. “Sansavini? – commenta Piredda – Un vero santo, glielo assicuro”.