Fondi pubblici ridotti e l’invito alle agenzie di stampa di associare le forze pur di non rinunciare ad una fetta della torta. Peccato, che al momento nessuna delle principali agenzie giornalistiche italiane abbia dato alcun segnale positivo in questo senso. L’attesa riforma delle agenzie di stampa targata Luca Lotti, il fidatissimo sottosegretario al quale Matteo Renzi ha affidato la delega all’editoria, avrà dunque un esordio “a singhiozzo”. Dal 2016 infatti entreranno in vigore le nuove regole per selezionare le testate che possono candidarsi a offrire servizi giornalistici a Palazzo Chigi, ai singoli ministeri e agli altri organismi collegati con il governo. Il problema è che le casse di Palazzo Chigi per pagare i servizi d’informazione sono più leggere rispetto all’anno scorso (una trentina di milioni per il 2015, mentre nel 2014 erano 36 milioni): in pratica non sono più sufficienti per tutte e 11 le agenzie della Penisola.
Ed è per questo motivo che la riforma mette dei paletti più stringenti per indurre le agenzie stampa a “fondersi” tra loro, pur di mantenere l’appalto con il governo. Peccato che ad oggi nessun editore abbia fatto il primo passo per unire le forze, con il risultato che Lotti ha dovuto prendere tempo, prevedendo un periodo di transizione per dare un’ultima chance alle agenzie. I nuovi parametri partiranno comunque dal 2016 ma non saranno applicati alle agenzie singole ma a raggruppamenti editoriali, che abbiano dato vita per esempio ad associazioni temporanee di imprese. Sarà solo dal 2017 che ogni testata dovrà soddisfare, individualmente, le nuove regole. L’unica fusione ventilata da indiscrezioni di stampa è la possibile vendita di Radiocor del gruppo confindustriale Sole 24 Ore, alle prese con un risanamento dei conti anche se il presidente dell’editrice di Confindustria, Benito Benedini, smentisce vivamente la cessione.
Ma quali sono i nuovi parametri voluti da Renzi? Ogni editore dovrà assumere almeno 50 redattori a tempo pieno e indeterminato, dovrà disporre di tre sedi in Italia e assicurare 15 ore di fornitura di notizie al giorno, sette giorni su sette con 500 lanci di news quotidiane. Ovviamente, sono escluse dall’ultima richiesta le agenzie che si occupano d’informazione specializzata: è ovvio che sul campo sportivo o in quello finanziario il flusso informativo è bloccato quando non ci sono eventi o quando la Borsa è chiusa.Nella riforma, ci sono poi tre vincoli che mirano a rendere le agenzie stampa più autonome dalle committenze statali (che in alcuni casi arrivano a coprire fino al 70% dei ricavi complessivi dell’editore). In primo luogo, le convenzioni non possono rappresentare più del 45% del fatturato totale e ogni agenzia dovrà dimostrare che almeno 30 giornali, con la copertura di 10 regioni, le paghino un abbonamento. Un indicatore che serve proprio ad evitare che le agenzie dipendano completamente dagli abbonamenti stipulati con il governo. Il terzo e ultimo vincolo si focalizza sulla gestione del personale: l’esecutivo terrà conto se un editore fa ricorso agli ammortizzatori sociali. Il ragionamento è che, se si rinuncia a forza lavoro, allora ne risente negativamente anche il servizio offerto a Palazzo Chigi.
Al momento, solo le principali agenzie stampa soddisfano la riforma Lotti. Sono 4 su 11: Ansa (cooperativa di 34 soci, editori dei principali quotidiani nazionali italiani), Adnkronos (del cavaliere del lavoro Giuseppe Marra), Askanews (di Luigi Abete, ex presidente di Confindustria e attuale presidente della Bnl) e Agi (del gruppo Eni). Tutti big del settore che comunque non godono di ottima salute. L’ultima in ordine temporale a dichiarare esuberi, per la precisione 65 su circa 300 giornalisti in tutta Italia, è stata l’Ansa. Alla base del taglio c’è la stima che prevede per la principale agenzia di stampa del Paese un rosso di 5 milioni nel bilancio 2015, dopo un 2014 in sostanziale pareggio ma su cui graverebbero previsioni negative sui trend di mercato.La prospettiva per i giornalisti, in sciopero dallo scorso 23 giugno fino al 29 giugno, è la cassa integrazione straordinaria o la decurtazione di stipendio e orario di lavoro da luglio.L’annuncio ha subito rilanciato l’indiscrezione già ventilata in passato: l’Ansa si è messa “a dieta” per prepararsi alla fusione con l’Agi. Un’operazione che non punta tanto a rafforzarsi in vista della razionalizzazione dei fondi pubblici, ma piuttosto ad assecondare la volontà del premier Matteo Renzi: l’ex sindaco di Firenze vuole infatti creare di un colosso dell’informazione parapubblico sul modello transalpino dell’Agence France Presse-Afp.