di Carblogger
“Show me your everyday suit, not your Sunday suit!” disse un giorno stizzito un vice-presidente di un noto marchio generalista ai designer che avevano allestito con grande cura il prototipo di un nuovo prodotto con cerchi in lega, pneumatici ribassati, vernice esclusiva, cromature un po’ ovunque. L’episodio mi ha fatto venire in mente la presentazione ai giornalisti della nuova Alfa Romeo Giulia Quadrifoglio ad Arese.
Effettivamente, quella mostrata mercoledì scorso, era una versione molto speciale; per vedere la vera Giulia – come dice Quattroruote – serve ancora pazienza, l’attesa non è proprio finita.
Ci sono tuttavia ottime ragioni per cui Marchionne e il suo staff hanno finalmente deciso di rompere gli indugi, e condividere pubblicamente il lavoro fatto negli “skunks works“. Dal 2011 fino a qualche mese fa, decine e decine di proposte sono state scartate, ma non è stato tempo perso: è probabile che nel frattempo Marchionne, che ha un processo di loading molto particolare, si sia chiarito le idee su cosa volesse che fosse Alfa Romeo, e sul contributo che si aspetta dal marchio al portafoglio Fca.
Non c’è dubbio che la Giulia Quadrifoglio rappresenti intenzionalmente l’espressione più autentica ed esuberante della “nuova” Alfa, che Marchionne vuole far tornare la “vera” Alfa “dopo trent’anni in cui è stata costretta a competere con i marchi generalisti” (ma non era stato il responsabile del marchio, Harald Wester, a dire che Alfa Romeo doveva essere una concorrente di Volkswagen?). Credo che nessuno dubiti che il management di Fca abbia imparato la lezione, nel senso che oggi sembra esserci una piena consapevolezza di ciò che è necessario fare, e soprattutto non fare, per il rilancio di Alfa Romeo in termini di integrità di prodotto, congruenza con i valori, recupero dell’heritage.
Ma dimostrare in ogni modo una discontinuità con qualche anno fa, quando “Fiat non si sarebbe potuta permettere di rilanciare Alfa Romeo”, potrebbe non essere sufficiente a raggiungere gli obiettivi strategici fissati nel piano industriale, vale a dire volumi pari a 400mila unità all’anno (dal 2018 in poi) con margini superiori al 10%.
L’impressione è che ci sia un grande sforzo – assolutamente apprezzabile – per riportare Alfa agli antichi splendori di mezzo secolo fa, quando stava davanti alle tedesche. Ma nel frattempo il mondo è cambiato, e per raggiungere gli obiettivi che si è posto, Marchionne – o chi per lui – dovrà spiegare in che modo con il marchio Alfa intende competere nel mercato premium, dove oggi i fattori chiave di successo, dai quali non si può prescindere, sono tecnologia, qualità, funzionalità, accessibilità, quotidianità.
Vendere centinaia di migliaia di macchine all’anno è molto diverso che venderne poche migliaia, come fa Maserati, o come presumibilmente sarà il caso della versione Quadrifoglio. Per penetrare il mercato premium non basta un “trionfo d’arte e passione“, non basta essere un’alternativa “italiana” ed “emotiva” ad Audi o BMW, o a Jaguar, che come Alfa si rivolge ad un cliente che cerca sportività e prestazioni. Strizzare l’occhio a Ferrari (sulla cui monoposto di F.1 appare “incidentalmente” il marchio Alfa Romeo), che è un brand di lusso e non un marchio premium, potrà incantare qualche analista, ma difficilmente aiuterà ad individuare gli spazi che Alfa dovrà, faticosamente, conquistarsi.
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