Quattro anni dopo l’ultimo album, torna sul mercato discografico uno dei più longevi e apprezzati cantanti italiani: Raf. Il suo “Sono io” è un album pop con evidenti venature di impegno sociale, tanto che è lui stesso a dire che “fare un disco di musica leggera non è mai stato un lavoro leggero”. Ha attraversato quattro decadi di musica, sempre con grande successo popolare, ma Raf non ha un’opinione lusinghiera sui talent show, espressione massima della musica pop dei giorni nostri. Piuttosto, se fosse un esordiente oggi, in un momento di crisi strutturale del settore, si affiderebbe al Web.
“Sono io” che fase della tua carriera rappresenta?
È un album di musica pop così come faccio ormai da tanti anni, ma si spinge al limite oltre il quale non sarebbe più pop. Per fare questo c’è un insospettabile lavoro certosino di sperimentazione che non è così leggero. Per me fare un disco di musica leggera non è mai stato un lavoro leggero.
È un disco che racchiude delle ballade d’amore che sono alla base della canzone popolare ma ci sono anche brani che toccano problematiche sociali. Nella musica leggera ci si può anche permettere di guardarsi attorno e dire la propria. L’ho fatto anche nei dischi passati, senza paura di perdere consensi. Dico delle cose che per un cantante di musica pop sono scomode, ma che per la verità oggi nemmeno i cosiddetti cantautori impegnati dicono più. Oggi c’è musica pop ovunque, anche in quella che grazie a lavori di marketing può apparire più impegnata.
Nel disco c’è anche Come una favola, il pezzo che hai presentato all’ultimo Sanremo. Esperienza sfortunatissima. Ci torneresti il prossimo anno?
Non lo so, perché le mie presenze a Sanremo sono state segnate da risultati non certo positivi.
La prima volta portai al Festival Inevitabile follia, che arrivò addirittura penultima. Se ci fosse stata l’eliminazione anche allora sarei stato eliminato. Poi però la canzone divenne molto popolare. Così come successe con Cosa resterà degli anni Ottanta, che a Sanremo si piazzò nella parte bassa della classifica.
Sul palco dell’Ariston non è mai andata bene. Poi, per fortuna, il gradimento è sempre stato migliore dei risultati della gara. E in realtà è successo lo stesso quest’anno con Come una favola, che è stato uno dei pezzi sanremesi più trasmessi in radio.
Hai attraversato quattro decadi di musica, dagli anni Ottanta a oggi: cosa è cambiato?
La differenza vera è che la musica, andando di pari passo con quello che succede nel mondo dal punto di vista sociale ed economico, verso la fine degli anni Ottanta è entrata in una fase di crisi epocale. Dagli anni Cinquanta a parte degli Ottanta, la musica ha creato novità sotto qualsiasi aspetto: strumenti usati, tecnologie, modi di esprimersi. I concerti e gli eventi muovevano masse giovanili capaci anche di cambiare l’opinione pubblica o le scelte politiche. Oggi, come le proteste di piazza, anche i grandi concerti servono a ben poco. Anche le tendenze musicali, quelle vere, sono finite negli anni Ottanta: quello che è avvenuto dopo è solo la ripetizione di quanto era già accaduto.
E poi oggi la musica è talmente morta che per arrivare alle persone viene filtrata attraverso lo strumento mostruoso della televisione, con giovani talenti che devono confrontarsi tra loro in una realtà come l’intrattenimento televisivo che è cosa ben diversa dalla vera musica…
Ecco, stavo proprio per chiederti questo: cosa pensi dei talent show?
Di sicuro non favoriscono la creatività, perché tutto deve passare attraverso le regole dell’intrattenimento televisivo. I giovani vengono giudicati solo per la loro voce o per la loro interpretazione, che sono solo due dei tanti aspetti che fanno un grande artista. Pensiamo a Bob Dylan: nell’epoca dei talent non avrebbe avuto nessuna chance.
Con la crisi strutturale del mercato discografico, sembra che solo il web possa salvare il settore. Tu che rapporto hai con le nuove tecnologie?
Sono estremamente utili per giovani talenti che vogliono cercare un’alternativa alla partecipazione ai talent. Non è una via semplice ma è l’unica alternativa percorribile. In questo i social possono dare un contributo notevole. Il fatto che esistano è molto positivo. È una forma di comunicazione alternativa che in futuro sarà quella prevalente rispetto alla tv e ai vecchi media.
Se fossi un giovane e dovessi partire oggi con questo mestiere, io mi affiderei ai social.