Anfiteatro di LuceraCosa hanno in comune la Chiesa di San Bartolomeo a Montefusco nell’avellinese, e la Torre Saracena “Piano Croce” a Sant’Angelo di Brolo, nella provincia di Messina? E la cinta muraria di Castiglione di Garfagnana, nel lucchese, con l’anfiteatro romano di Lucera, nel foggiano? Ancora, Palazzo Vinciguerra a Rocchetta Vara, nello spezzino e il sito archeologico di Castel Mancino a Pescasseroli, nell’aquilano? Oppure la Rocca di Itri, nel Lazio e l’area archeologica della Domus de Janas “Sa Domu ‘e s’orcu”. Semplice! Si tratta di opere progettate e immediatamente cantierabili nel settore dei Beni Culturali. Ma ferme, in attesa di finanziamenti. Anche se i fondi ci sono. Dati elaborati dall’Ance e confluiti nel dossier consegnato al governo alla fine dello scorso aprile nel corso dell’evento “La carica dei 5mila cantieri per far ripartire l’Italia. Nella categoria “Edifici culturali” sono 233, per 320.366.007 euro, gli interventi segnalati. La dislocazione territoriale tutt’altro che omogenea. Nel dettaglio le regioni che presentano un numero di casi più elevato sono la Toscana con 45 per 76.300.994 euro, quindi la Campania che ne ha 22 per 40.086.100, seguita dall’Emilia Romagna che ne ha 20 per 17.330.672 e dal Lazio e dall’Abruzzo con 18, rispettivamente per 8.017.366 e 10.147.303. La Sardegna ne ha 16 per 3.830.363 e la Sicilia 15 per 44.542.016, mentre la Puglia 14 per 47.538.466 e le Marche 13 per 7.107.699. Nella classifica ci sono anche il Veneto con 12 per 6.862.666, Liguria con 10 per 2.810.126, il Friuli Venezia Giulia con 9 per 8.065.243, la Calabria con 7 per 6.872.69, quindi il Piemonte con 5 per 1.825.811 e la Basilicata e l’Umbria con 1, rispettivamente per 480.000 e 12.500.000 euro.

“E’ il momento di far ripartire l’edilizia…Sono opere utili per scuole, sicurezza, strade e dissesto”, ha detto il Presidente dall’Ance Paolo Buzzetti. Continuando a sostenere l’idea che l’edilizia debba essere “uno”, anzi, “il” motore del Paese. Tralasciando, colpevolmente, di inserire tra le categorie di opere ricordate, quella degli “edifici culturali”. Che pur interessando una somma pari al 3% di quella complessiva comporterebbe benefici di grande rilievo proprio su quel che da sempre le rappresentanze politiche e imprenditoriali affermano di avere a cuore. Il tessuto fisico e antropico del Paese. Quello costituito dalle città ma anche dai piccoli centri. Perché la fruizione di siti archeologici e storici, la loro valorizzazione attraverso opere di manutenzione e di adeguamento agli standard richiesti non è questione che riguarda soltanto il turismo. Insomma l’offerta culturale. Ma l’agibilità di scavi e palazzi, Chiese e Rocche, Musei, il restauro di fontane e circuiti murari, è anche indice del grado di civiltà assicurato dalle diverse amministrazioni. Quegli spazi mostrati con orgoglio e non abbandonati con disinteresse sono spazi di condivisione. Servizi quasi primari. Incubatori di idee.

E’ evidente che sia importante che anche questi interventi debbano essere realizzati. Al più presto. Prima che le condizioni strutturali di molti di questi edifici si facciano ancora più precarie. Prima che tanti di questi immobili, diversi di questi siti, divengano scheletri senza differenze. Ma sarebbe importante che a quegli interventi fosse data una propria, autonoma, rilevanza. Sarebbe bene che essi fossero parti di un progetto per il Paese. Nel quale la valorizzazione dell’esistente sia un principio inderogabile.

Si attendono notizie per i 233 progetti al palo. Forse un decreto. Con la speranza che non si tratti solo di cantieri edilizi. Che non sia l’associazione dei costruttori a dettare le politiche del Paese.

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