Cultura

Giochi tradizionali d’Italia: dal Lavr al Truc, viaggio nella penisola alla scoperta dei passatempi di una volta

Il tempo sembra essersi fermato nei “Giochi tradizionali d’Italia” censiti in un volume edito da Ediciclo. Un giro allegro e ludico sulla giostra della provincia profonda. La cultura dei giochi tradizionali popolari è portata avanti da intere comunità. Il fine è dovunque quello: tramandare, per non disperdere, la cultura, i saperi artigianali, la memoria e le tradizioni locali

di Maurizio Di Fazio

C’è stato un tempo in cui il calcio non era l’unico grande gioco nazionale. Anche perché nessuno lo aveva ancora immaginato. Era molto più di moda giocare a pallone con le mani, e nella futura Italia regnava il “pallone col bracciale”: fiorito nelle corti rinascimentali, di origini greco-romane, il calcio manuale era praticato sia dai signori che dai borghesi e popolani. Quando, a cavallo tra Sette e Ottocento, vennero edificati i primi sferisteri (gli antenati dei nostri stadi), la popolarità del football con le mani toccò le stelle. Poi è andata come è andata, e gli ignobili piedi hanno preso il sopravvento sugli organi che scrivono e suonano il pianoforte. Eppure a Treia, dalle parti di Macerata, la “disfida del bracciale” continua a richiamare turisti da ogni contrada tricolore. Proprio qui, nel 1818, venne tirato su il primo sferisterio: da allora le sfide a pallone con le parti alte del corpo non sono mai cessate, e un’ottantina di ragazzi le preferisce nel 2015 alla Playstation, alle app e a Candy Crush.

Il tempo sembra essersi fermato anche negli altri trentaquattro “Giochi tradizionali d’Italia” censiti in un volume edito da Ediciclo. Un tour in una penisola che dopotutto, nonostante tutto, gioca; un giro allegro e ludico sulla giostra della provincia profonda. La cultura dei giochi tradizionali popolari è portata avanti da intere comunità. Il fine è dovunque quello: tramandare, per non disperdere, la cultura, i saperi artigianali, la memoria e le tradizioni locali. Ci sono giochi che utilizzano le piastre e che hanno conosciuto momenti di gloria anche commerciale fino a non molto tempo fa. A Trieste soffia forte il Lavre. Tutto ebbe origine dal vetusto gioco delle Lavr, simile alle bocce. Con pietre autentiche si è giocato fino agli anni sessanta. Poi è arrivato il boom economico e hanno preso piede i piattelli di plastica, anche in spiaggia, oggi non più in produzione.

A Cividale del Friuli si gioca, a Pasqua e dintorni, a Truc. Il nome è onomatopeico e richiama il rumore delle uova. Nelle giornate deputate, il paese è invaso da decine di minuscole architetture sostanziate da sassi e sabbia: i Truc appunto. Non castelli ma semmai arene attorno a cui si affollano bambini per lanciare le proprie uova colorate. Poi la smania di vedere come l’uovo salta sulla gobba al centro dell’arena, e fin dove ruzzola. Altro che Ruzzle. E se a Funes, in provincia di Bolzano, si gioca a Goaßlschnöllen (facendo schioccare le fruste: prima dei telefonini, nelle valli sudtirolesi si comunicava anche così), a Valeggio sul Mincio, in Veneto, ci si diverte, ogni domenica mattina, con la Balina. È una delle variazioni sul tema “sferistico”, consanguinea alla palla pugno: anche questa giunse in Veneto al seguito delle truppe piemontesi e francesi durante le Guerre d’Indipendenza. La Balina ha incontrato un nuovo boom dopo la crisi energetica del 1973: c’erano l’austerity, l’elettricità razionata, le targhe alterne e quale migliore antidoto di una domenica in piazza all’aria aperta a giocare? Sbürla la rôda è invece lo sport ufficiale di Casalmaggiore, in Lombardia. In dialetto casalasco, vuol dire “spingi la ruota”.

Come divertirsi da matti sotto un sole ardente, ogni squadra un quartiere, spingendo colossali balle di fieno da 250 chili l’una. La Ciaramela, a Mede, sempre in terra lombarda, è come una piccola religione pagana. Una specie di baseball ante litteram. Bastano un bac e una Ciaramela, anch’essa lignea, nell’altra mano. Nel secondo dopoguerra l’apice della sua popolarità: balenò persino in “Guardie e Ladri”(1951) con Totò e Fabrizi, e ne I soliti ignoti (1958). Anche qui è bassa l’anagrafe dei suoi habitué.  Esistono poi giochi esclusivamente femminili. Uno di questi è il Bijé (birilli), tipico di Farigliano (Piemonte). La leggenda afferma che fu inventato intorno al 1300 dalla marchesa Isabella Doria per dipanare, con una tenzone per sole donne, il remoto conflitto tra le due fazioni di fariglianesi. Per altri le sue radici sprofondano in un arcaico rito di fertilità. Completamente in rosa è pure il “Gioco delle noci” di Monterosso al Mare, in Liguria, nella zona più occidentale delle Cinque Terre. I pescatori erano soliti vendere tutto il pesce pescato, e allora le loro mogli si ingegnavano ai fornelli scodellando ricette a base di erbe e frutta secca. Le noci erano molto appetite (e caloriche), però costavano un occhio della testa. Fu molto probabilmente per questo che il gentil sesso divenne campione di gioco delle noci: le vincitrici si portavano a casa tante di quelle noci da ricavarvi pesto per tutto l’anno. E della Palla elastica avete mai sentito parlare? In Toscana, a Fabbriche di Vallico, non se ne sono certo dimenticati. Da quelle parti, si continua a giocare a tennis così.

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