“Non abbiamo dovuto fare un granché per accendere il rogo: è facile mandare a fuoco un mondo che si consuma da così tanto tempo nel proprio caos. A ogni istante, quello che avete costruito perde il suo equilibrio, perché in questo mondo tutto si equivale: ogni cosa è uguale al suo contrario, in altre parole niente a più valore. È la forza terribile del vostro mondo, ma è anche la sua debolezza. Non crediate che prendendo la parola cercassimo di convincervi; o di sedurre coloro che fra di voi avessero avuto un qualsiasi desiderio sovversivo: avete abbandonato ogni speranza, ed è per questo che vivete all’inferno. Il vostro mondo si crede ‘globale’ perché ha aperto le frontiere e facilitato la libera circolazione delle persone. In realtà, non fa altro che sacrificare ciò che non è compatibile con i propri interessi”.
La storia si sviluppa a Parigi, nel XX arrondissement, tra il cimitero del Père-Lachiase, le colline di Charonne, Belleville e Ménilmontant e una indefinita terra di nessuno abitata da immigrati abusivi, disperati, artisti, esuli. Tutto inizia con un uomo che ha deciso di vivere dentro la propria automobile, un flâneur cosciente della propria disperazione e della propria marginalità che durante le sue peregrinazioni vede comparire curiose scritte sui muri che annunciano una rivoluzione totale, uno stravolgimento del sistema esistente. Gli slogan e i disegni rimandano alla Volpe pallida, una divinità anarchica delle popolazioni Dogon del Mali (sulla stessa figura aveva scritto, anni fa, il maliano Moussa Konaté, in un noir non troppo riuscito, apparso in Italia con il titolo L’impronta della volpe).
“Che siate ricchi o sfruttati, che facciate parte di coloro che prosperano o di coloro che sono depredati, accettando di essere al contempo impiegati e clienti del mercato, avete lasciato che vi inghiottissero (…) in questo mondo che difendete costi quel che costi, gli esseri umani sono a ogni istante sacrificabili. Questo sacrificio vi ingloba”. Pian piano l’incendio libertario si propaga su tutta Parigi, la narrazione, da soggettiva, diventa corale, l’uomo che vive in macchina lascia il posto al popolo. Il canto dell’anarchismo primordiale si alza sul cielo della capitale francese e, in un incalzante susseguirsi di azioni e rivendicazioni descritte con una semplice ed efficace poeticità, si giunge all’enigmatico finale che lascia aperte mille strade al lettore. Rimandando alle tante rivolte contemporanee, il romanzo parla soprattutto dei sans-papiers e ci avverte del pericolo che tutti noi, con la nostra indifferenza, stiamo ingigantendo il problema sempre più:
“Come la maggior parte degli emigranti, hanno conosciuto gli scafisti che li depredano, la traversata notturna del Mediterraneo su una bagnarola che i doganieri corrotti lasciano andare alla deriva a Marsiglia o a Lampedusa, dove altri doganieri, a volte gli stessi, li sbattono direttamente dentro; sono stati parcheggiati in un centro di permanenza dove la mafia viene a reclutare gli schiavi; hanno conosciuto l’errare sulle spiagge francesi o italiane percorse infinite volte per vendere merce contraffatta di Vuitton e Prada in cambio di un materasso in una catapecchia in rovina (…) la loro storia è quella di centinaia di migliaia di immigrati che sfidano le frontiere perché la miseria che sono pronti ad affrontare in Europa gli sembra meglio di quella che nel loro paese li condanna”.