Ciò che distingue queste elezioni universitarie dalle precedenti è il carattere enfaticamente politico-mediatico dell’evento. Colpisce, della vicenda dell’elezione del nuovo Rettore dell’Alma Mater, il carattere eminentemente pubblico e politicizzato dello scontro che si sta espandendo dagli ambienti dell’Ateneo (l’unica platea elettorale) a tutta la città, attraverso un’eco mediatica senza precedenti.
Sembrerebbe trattarsi più dell’elezione di un Sindaco: una vera e propria tenzone con tanto di retroscena, orditi e trame di alleanze trasversali, e i due contendenti rimasti a vestire i panni di veri e propri leader politici. Interviste e resoconti si susseguono a tutto spiano, manca solo il codazzo di sostenitori con tanto di foto dei rispettivi candidati per le strade del centro, ripresi dalle televisioni e dai fotoreporter, e poi il quadro è completo.
Viene da chiedersi il perché di questa esposizione mediatica senza precedenti. Una parte della risposta sta certamente nell’ampliamento dell’elettorato. Questa elezione, infatti, vede per la prima volta la partecipazione, anche se con un voto ponderato, del personale tecnico e amministrativo e dei rappresentanti degli studenti: al di là del peso numerico – che può avere, comunque, un’incidenza rilevante nella determinazione del risultato – questo allargamento ha fatto uscire la campagna elettorale dallo spazio riservato delle trattative tra i docenti, a quello dell’incontro assembleare pubblico, con tanto di resoconti sulla stampa cittadina. In questo modo, i candidati, nel rivolgersi a questa platea, interna all’Ateneo ma esterna alla cerchia del personale docente, hanno dovuto assumere un modo diverso di presentare sé stessi e le proprie idee, hanno dovuto rispondere a domande, polemizzare tra loro, sottolineare i tratti distintivi in funzione dello spostamento di pezzi anche piccoli di consenso. Così, tele-lavoro, asili-nidi, rapporto dell’università con i collettivi studenteschi, esternalizzazioni e precariato, rappresentanza e democrazia, organizzazione del lavoro e relazioni sindacali, rapporti con la città, sono diventati temi importanti del confronto, trasformando la campagna, nel suo complesso, in un “giudizio” sulla “riforma Gelmini”e i suoi effetti.
Questo venire allo scoperto di una competizione tradizionalmente svolta finora in modo più riservato, è sicuramente positivo: l’istituzione forse più importante di questa città accetta di esporsi allo sguardo della comunità più ampia in cui è insediata, si apre a una lettura funzionale alle istanze più diverse di questa comunità, riduce la sua separatezza. Ma in questo subisce anche un effetto di omologazione, e questa è l’altra parte della risposta: nel momento stesso in cui questa vicenda interna a una grande comunità diventa oggetto di interesse della stampa, il suo racconto viene piegato al format con cui viene declinata oggi la narrazione di ogni vicenda politica: la personalizzazione estrema dello scontro, il vincitore (o la vincitrice) e il vinto. La “gara” ha preso nettamente il sopravvento, con dichiarazioni infuocate, colpi bassi, accuse sulle presunte incoerenze dell’avversario; naturalmente, non c’è da gridare allo scandalo, è tutto nella norma di qualsiasi elezione diretta, in cui tutta l’attenzione si concentra sulle caratteristiche personali dei candidati e assumono rilievo la biografia, il carattere, il posizionamento politico. Ma è proprio la ricchezza di contenuti che la campagna elettorale ha messo a tema a passare decisamente in secondo piano, così come avviene anche nelle vicende politiche, mentre l’attenzione mediatica si porta sulle capacità tattiche e negoziali di costruire alleanze, allargare il proprio schieramento, catturare questo o quel segmento dell’elettorato: su questo si sofferma con dovizia di particolari, soprattutto e non a caso, la stampa avvezza a descrivere prevalentemente quel che succede nei “palazzi” del potere.
Chi partecipa a questa gara si gioca molto ovviamente, un ruolo istituzionale prestigioso e di primo piano. Ma siamo sicuri che quest’eccesso mediatico e il trasferimento del confronto dal contesto universitario a quello politico – della politica politicante – non determinino il rischio della sovraesposizione di una carica che ha un valore eminentemente culturale al servizio di un’istituzione fondamentale per il futuro dei giovani e del Paese?
Sono degli ultimi giorni dichiarazioni, a dir poco sconcertanti, di esponenti politici che stabiliscono rapporti di causa-effetto tra l’esito della competizione in seno all’Ateneo e la rottura o al ricomposizione degli equilibri che presiedono alla scelta del futuro Sindaco. Sarebbe bene, a parer mio, che tutte le componenti universitarie chiamate al voto riflettessero su quale dei due candidati potrà garantire il governo più qualificato sul piano istituzionale e il più elevato sul piano morale per l’università di Bologna. Una realtà così seria e prestigiosa sarà bene capace di fare la scelta migliore!
Se poi dovessero prevalere logiche di schieramento predeterminate in funzione delle prossime elezioni comunali, beh allora, come direbbe quel saggio regista-attore precocemente scomparso, “non ci resta che piangere”.