Ragazzi, mi parlate di voi, del vostro background artistico e come mai avete deciso di darvi questo nome?
La band si è formata nell’estate di tre anni fa, anche se noi quattro (Lorenzo, Giulio, Andrea e Luigi) ci conoscevamo già da prima, sempre grazie alla musica. Il nostro background è variegato, ognuno di noi ha percorsi diversi, fortunatamente ci siamo incontrati nel tracciato. Volevamo scrivere e registrare un album, non ci siamo fatti molte altre domande, eravamo talmente concentrati che ci siamo messi a pensare al nome solo dopo la fine delle registrazioni del nostro primo disco: All the Sunset in a Cup. Departure Ave. (pronunciato Departure Avenue) ci è andato bene da subito perché a nostro giudizio rispecchiava al meglio l’immaginario della nostra musica.
Avete una vostra filosofia di vita come band? E se sì qual è?
No, in realtà no. Non ci siamo mai dati una missione. Ci siamo formati per comporre e registrare un disco, l’unica “filosofia” coinvolta nel processo è la musica. Fare un gruppo era la conseguenza naturale del fatto che tutti condividevamo uno stesso tipo di sguardo su di essa.
In passato, band e artisti che si sono dedicati al vostro stesso genere musicale, avevano lo scopo di cambiare il mondo: e voi perché scrivete canzoni?
Crediamo che prima di ogni altra cosa ci sia l’urgenza espressiva. Lasciare una minima impronta del proprio passaggio.
Quali sono le vostre ambizioni legate a questo disco?
L’ambizione è il sentimento di chi desidera, aspira a qualche cosa. Nel nostro caso l’ambizione è il disco, arrivare al disco, esprimere qualche cosa attraverso questa particolare forma d’arte. La bellezza del fare musica sta proprio nel fatto che non porta a niente se non ad altra musica: non siamo cantautori, non ci riteniamo portatori di un messaggio diverso da quello sonoro. Anche per questo ci siamo ritrovati a raccontare il disco come se fosse una raccolta di fiabe: storie banali, nelle quali chiunque può trovare tutto.
Viviamo in un periodo storico in cui c’è un panorama musicale vasto, dovuto alla grande visibilità che offre il web e all’autoproduzione, che da una parte danno la possibilità a chi sarebbe altrimenti rimasto nell’ombra di emergere, dall’altra hanno reso inflazionata la figura del musicista indipendente: voi come la vedete? Inoltre a sentire gli addetti i lavori, sono pochi i locali che permettono di suonare dal vivo…
In realtà di locali ce ne sono moltissimi, forse l’unico difetto è che molti di questi non sono adeguati a fare un vero live. In più la possibilità di guadagnarci dal punto di vista economico è ridotta tanto per le band quanto per i locali. Il fatto che scrivere, produrre e promuovere musica sia più facile e accessibile per tutti è principalmente un aspetto positivo. È vero che l’arte sia stata in parte mortificata dalle nuove tecnologie, ma la responsabilità è più di chi preferisce una cosa comoda a una bella. Il vero problema è saper distinguere fra cosa è di valore e cosa no, e ancora, cosa rappresenta qualcosa di realmente autentico e cosa no.