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Usa: i matrimoni gay e l’ultimo dei Mohicani

Mi trovo a Washington da una settimana per motivi di lavoro. Passeggiando per le strade della capitale, sono rimasto impressionato dalla quantità di coppie gay che girano per la città, tenendosi teneramente per mano. Di ogni età, razza e fascia sociale. Li si incontra vicino alla Casa Bianca così come nel quartiere di Georgetown, per non parlare delle periferie più povere. Una sera sono andato al John F. Kennedy Center for the Performing Arts per vedere un musical e, mentre aspettavo in coda all’ingresso, ho contato 7 coppie mano nella mano davanti a me, 3 maschili e 4 femminili.

E’ una tale boccata di aria fresca assistere a cotanta dimostrazione di libertà e rispetto per le scelte altrui: per la strada nessuno si gira o commenta, a dimostrazione che l’omosessualità è un elemento ormai entrato nella quotidianità della popolazione, assurgendo in tal modo a consuetudine nei costumi sociali ed affermandosi quindi come regola di convivenza civile. Pertanto, quando il 26 giugno scorso la Corte Suprema statunitense ha di fatto legalizzato il matrimonio gay, rendendo incostituzionali tutte le leggi dei vari Stati che ancora lo vietavano, sono andato di corsa a curiosare proprio di fronte alla Corte, nella convinzione di trovare, oltre a gruppi e persone in festa, anche rappresentanti di quel conservatorismo gretto e di matrice falsamente religiosa che da sempre viaggia con il freno a mano tirato di fronte ai mutamenti sociali. Ho sempre avuto una morbosa curiosità verso questi Mohicani, arroccati nel loro credo ormai superato e smentito dalla storia, che lottano strenuamente per negare il progresso ed il diritto dei cittadini a seguire lo sviluppo dei costumi, facendoli diventare regole.

Ed infatti, come prevedibile, erano tutti là, schierati. Lombrosianamente mi sono messo ad osservarli uno ad uno: c’era un signore di mezz’età vestito da Cristo crocifisso con un cartello che recitava “Mi hanno ucciso di nuovo”; un’anziana sugli ottanta che reggeva un cartello che rimandava ad alcune frasi dell’Antico Testamento; un’altra signora sui cinquanta che gridava a squarciagola che le porte del cielo si chiuderanno per tutti questi peccatori. Tutte facce di un’epoca che non esiste più, persone che pensano che le norme non debbano accompagnare e tutelare il progresso sociale, ma debbano piuttosto indirizzarlo secondo i principi del più bieco “nessun si muova”.

Sono andato a parlare con tutte e tre queste persone, perché volevo capire cosa spinga un essere umano a sostare davanti alla Corte Suprema con un cartello in mano, sotto un sole cocente a 35 gradi, per rivendicare qualcosa che non deve più avere diritto di cittadinanza: l’intolleranza. Ed ho provato a conversare cercando di capire la loro prospettiva di fronte ad altri esseri umani, con gusti e valori differenti, che alla fine puntano comunque al medesimo obiettivo di tutti noi: amare altre persone ed essere felici. Perché a qualcuno può dare fastidio che il prossimo cerchi amore e felicità nella propria vita, seppur con modalità differenti? Non dovrebbe essere interesse comune che la maggior parte delle persone siano felici, in quanto ne deriva una migliore coesione sociale ed una società più armonica?

Se persino Papa Francesco è riuscito ad aprire una breccia nella coltre di rigido conservatorismo che caratterizza la Chiesa sul tema, quando ha pronunciato la famosa frase “Se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla”, perché alla base vi è ancora chi resiste ad oltranza ad un cambio di valori e costumi che è tanto inevitabile quanto inarrestabile? Ho provato a capirlo parlando con queste tre persone, con risultati assai deludenti, ammetto. Mi continuavano a ripetere e citare, come robot, pezzi di Vangelo in cui si condanna l’omosessualità, o prediche di qualche reverendo evidentemente famoso negli States che da anni spara a zero contro i gay. Nessuna idea nuova, nessuna opinione loro, solo un miscuglio di frasi fatte e citazioni.

Ed in quel momento ho capito qualcosa che da anni odoravo, senza mai renderne conto: le persone che hanno il coraggio e la convinzione delle proprie idee non si devono rifugiare in dotte citazioni a piè di pagina, perché non hanno bisogno di sostenere il proprio pensiero con idee altrui. Penso a Mandela, il Mahatma Gandhi, Martin Luter King: eroi di una tale forza innovativa che tutto quello che era stato pensato e detto prima non aveva più senso, di fronte alla prorompente forza dei loro pensieri. Coloro che invece fanno continuo riferimento a opinioni di altri, dimostrano di vivere nel passato e nel “già successo”, probabilmente perché è il metodo più comodo per tapparsi gli occhi e non vedere – ed accettare – i radicali cambiamenti che la società odierna ingloba quasi quotidianamente.