Lo accusò di incompetenza, di plagio, di circonvenzione di incapace. Quanto basta secondo il tribunale di Ferrara per dichiarare in primo grado Vittorio Sgarbi colpevole di diffamazione aggravata e condannarlo a 20mila euro di multa. Più una provvisionale di altri 20mila da versare alla parte civile, l’avvocato ed esperto d’arte Italo Tomassoni.
Entrambi, imputato e persona offesa, si occupavano, per diverse collezioni, della catalogazione e della autenticazione delle opere dell’artista Gino De Dominicis. Secondo l’ex parlamentare, Tomassoni non avrebbe avuto alcuna competenza in materia. Di più: secondo Sgarbi, ne era nota “la predisposizione dilettantesca e la pretesa di un’autorità nel riconoscere l’autenticità delle opere di De Dominicis“, un’autorità che “non gli viene né da studi né da specifiche competenze, e che è esercitata attraverso il vero e proprio plagio (o circonvenzione di incapace) dell’unica incompetente ed inesperta erede di De Dominicis, che gli lascia evidentemente, carta bianca”.
Queste le dichiarazioni affidate a un comunicato stampa pubblicato sul quotidiano online Notix.it il 9 novembre 2012, a commento del sequestro della procura di Perugia di diverse presunte opere di De Dominicis, certificate e catalogate dallo stesso Sgarbi. Sequestro originato da un esposto giunto dalla stessa erede Paola De Dominicis . E nella nota il critico d’arte aggiungeva che “lo Stato non può compiere errori di tale leggerezza, violando la proprietà privata e chiamando false opere autentiche sulla base del delirio di un esperto, non privo di interessi, fatti passare per ideali e per difesa del diritto d’autore”.
Parole poco gradite a Tomassoni, che ha coniato assieme a Giulio Carlo Argan la definizione critica di “ipermanierismo”, curato la 48ª Biennale di Venezia una retrospettiva proprio sull’autore in questione, è direttore artistico del Centro italiano di Arte contemporanea di Foligno e ha insegnato “Diritto d’autore nell’arte contemporanea” alla Sapienza.
La difesa processuale ha chiamato in causa l’addetto stampa di Sgarbi, che in dibattimento si è di fatto assunto la colpa dell’accaduto, una sorta di malinteso: trascrisse alcuni sfoghi fatti da Sgarbi al telefono immaginando che fossero destinati a un comunicato. Giustificazione non sufficiente a convincere il pm Filippo Di Benedetto, che ha chiesto la condanna dell’imputato. Richiesta accolta dal giudice Alessandra Testoni.