Meno tasse sui buoni pasto, a patto che siano elettronici. A partire dal primo luglio, un emendamento alla legge di Stabilità 2015 (23 dicembre 2014, n. 190), ha infatti sancito l’aumento del valore esentasse dell’e-ticket (la card che va letta dai dispositivi pos abilitati, come fosse una carta di credito o il Bancomat) che passa così da 5,29 euro a 7 euro. Un ritocco all’insù che si allinea al costo della vita, come accade da tempo in altri Paesi europei.

Se questa novità, tuttavia, coinvolge soprattutto i lavoratori (sono oltre 2,3 milioni quelli che quotidianamente usano i buoni pasto, due terzi dei quali dipendenti pubblici), sono però le aziende a fare festa. L’aumento della soglia di detassazione era infatti attesa da decenni (l’ultima modifica risale al 1998) dalle società che, d’ora in avanti, hanno l’opportunità di investire fino a 500 milioni di euro in più sul potere di acquisto dei propri dipendenti. E questo perché l’euro e 70 centesimi erogato in più è già il costo finale, senza ricarico tra netto e lordo. Va, inoltre, sottolineato il notevole risparmio per le società che emettono il servizio che taglieranno i costi di carta e di burocrazia.

È poi innegabile il vantaggio che hanno le aziende: non investono nella costruzione di una struttura interna da adibire a mensa, deducono i costi del servizio come costi inerenti alla gestione del suo personale e risparmiano sugli oneri previdenziali, dal momento che i ticket sono esclusi dal reddito imponibile, ora salito per gli e-ticket al limite complessivo giornaliero di 7 euro. Ma se l’azienda fornisce un buono di importo superiore a quello stabilito, non ha alcun vantaggio fiscale nella parte eccedente.
Del resto, il settore dei buoni pasto in Italia è uno dei pochi che negli ultimi anni ha resistito alla crisi: utilizzati in circa 150mila esercizi convenzionati per un totale di oltre 500 milioni di transazioni annue, vale all’incirca 3,4 miliardi di euro ma vede in attività solo una decina di operatori per la maggior parte stranieri.

Quindi, si tratta anche di soldi in più in tasca ai lavoratori, magari per rilanciare i consumi? Sembrerebbe proprio di no, dal momento che l’esenzione fiscale e contributiva, riguardando solo i buoni elettronici, coinvolgerà un numero basso di persone che continueranno a ricevere ancora buoni cartacei per la difficoltà delle aziende di adeguarsi e delle società emittenti di dotarle delle card.

Inoltre, ed è questo l’allarme che si è diffuso nelle ultime ore, i lavoratori possono dire addio ai buoni pasto usati per fare la spesa al supermercato o per pagare la cena al ristorante o in pizzeria. Il motivo è chiaro: a norma di legge, i ticket non sono cumulabili, cedibili e convertibili in denaro (vale a dire che che non danno diritto al resto in denaro) e vanno utilizzati solo durante le ore di lavoro per un massimo di un ticket al giorno. Ma, se fino ad oggi, nessuno aveva mai controllato che questa procedura venisse rispettata, con l’avvento della traducibilità del ticket elettronico sarà tutta un’altra storia. E per le società erogatrici sarà semplicissimo fornire alle aziende i dati sull’uso dei buoni che ne fanno i clienti.

Come spiega il Sole 24 Ore, la giurisprudenza in materia non sembra molto ricca, segno che più di un occhio è stato chiuso finora da chi avrebbe dovuto fare i controlli di rito. Ora con i dati tracciabili, la responsabilità ricadrà sul datore di lavoro che sarà esposto alle sanzioni previste per omesse o insufficienti trattenute e versamenti, inesatte certificazioni uniche e infedele dichiarazione dei sostituti. Tuttavia, non è affatto chiaro chi dovrà controllare il controllore.

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