Nella maggior parte dei Paesi esiste da anni. Nel Regno Unito, ad esempio, c’è il Met Office, cui la Bbc fa esclusivo riferimento. A livello europeo l’Ecmwf, European centre for medium-range weather forecasts, una sorta di Cern della meteorologia, un ente transnazionale, con base a Reading, in Inghilterra, per le previsioni a medio termine, (4-7 giorni), di cui l’Italia è il quarto contribuente. Nel nostro Paese, invece, manca un servizio meteo nazionale civile. Doveva nascere 900 giorni fa, nell’ambito di un provvedimento legislativo del 2012 sul riordino della Protezione civile. Invece, si fa ancora affidamento all’Aeronautica militare. Che fa del suo meglio, ma il servizio che offre è nato per l’assistenza al volo e ha risorse limitate, soprattutto in tempi di spending review. In giornate in cui si annunciano caldo e afa record avere qualche certezza in più non guasterebbe.
“L’Italia, insieme alla Grecia, è l’unico Paese europeo a non avere un sistema meteo nazionale civile”, denuncia Federico Grazzini, meteorologo dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (Arpa) dell´Emilia Romagna. Lo studioso – insieme ad altri 86 professionisti del settore della meteorologia e climatologia che operano in strutture istituzionali – si è fatto promotore di un coordinamento dal basso, denominato “previsorideltempo.it”. Gli scienziati chiedono al Governo di creare anche in Italia un “Servizio meteorologico nazionale distribuito”. “Nel nostro settore – spiega Grazzini – è necessario assicurare uniformità scientifica e deontologica che, vista l’attuale frammentazione degli enti istituzionali esistenti in Italia, in questo momento non è garantita, sia nei confronti di organismi internazionali, che dei cittadini che ne fanno richiesta. Soprattutto sul Web – aggiunge l’esperto -, la nostra professione è esposta, e spesso danneggiata, da fonti d’informazione che provengono da soggetti non istituzionali, come i privati. Con il rischio, per chi è tenuto a fornire previsioni istituzionali, non solo di perdere la propria credibilità, ma di essere soggetto anche a conseguenze civili e penali. Inoltre – continua lo studioso -, la meteorologia è importante anche in altri settori, come l’agricoltura o la produzione di energia: basti pensare allo sviluppo delle rinnovabili. Richiamiamo, quindi, l’attenzione di Governo e Parlamento – denuncia Grazzini – sull’urgenza di arrivare alla costituzione di un ente statale, capace di coordinare tutte quelle strutture che in Italia si occupano di meteorologia operativa”.
Per supplire a questa mancanza, intanto, molte regioni italiane si sono già dotate da alcuni decenni di strutture operative tecnico-scientifiche, i servizi meteo regionali, spesso incardinati nelle Arpa. Il rischio, però, è di andare incontro a duplicazioni, sovrapposizioni e sprechi di risorse, proprio per la mancanza di un coordinamento unico. Eppure il nostro Paese, anche per la sua particolare conformazione orografica e la sconsiderata cementificazione del territorio, è sempre più vulnerabile a eventi meteorologici intensi. “L’analisi dei dati e degli scenari climatici indicano chiaramente quanto il nostro Paese sia più esposto e fragile rispetto ad altri – sottolinea Grazzini -. Il nostro territorio è, infatti, al primo posto in Europa nella non invidiabile classifica del dissesto idrogeologico”.
L’ultimo “Rapporto di sintesi sul dissesto idrogeologico”, stilato dall’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e aggiornato al 2014, afferma, infatti, che l’8-10% della popolazione nazionale è esposta al rischio alluvione e il 7% del territorio al rischio frane – oltre un migliaio l’anno, secondo l’Ispra -, con 6180 punti di criticità stradali, 1862 lungo i 16mila km di rete ferroviaria, e un milione di cittadini a rischio. Il rapporto 2015 dell’Ispra sul “consumo di suolo in Italia” racconta, inoltre, di un Paese letteralmente asfaltato dal cemento. Il 20% della fascia costiera – oltre 500 Kmq, l’equivalente dell’intera costa sarda – è considerato irrimediabilmente compromesso, e 55 ettari di Penisola scompaiono ogni giorno, ingoiati dalla costruzione di nuove infrastrutture, insediamenti commerciali e dall’espansione di aree urbane a bassa densità.
Ma la confusione che regna nel settore delle previsioni meteo, e il vuoto rappresentato dalla mancanza di una struttura nazionale, hanno ricadute anche dal punto di vista accademico e lavorativo, incrementando la cosiddetta fuga dei cervelli. Il nostro Paese, infatti, è attualmente privo di una scuola di meteorologia, e questa disciplina nelle università sta scomparendo. “In Italia, proprio per la mancanza di un ente ad hoc, la professione del meteorologo non è certificata: chiunque può dirsi meteorologo – denuncia Grazzini -. Nel nostro Paese la formazione è inadeguata. La storica mancanza di un istituto nazionale civile di competenza riconosciuta nella meteorologia e nella climatologia – prosegue l’esperto – ha determinato nel tempo una frammentazione dei saperi. La situazione universitaria, ad esempio, è disastrosa. Non c’è una laurea in meteorologia e, con i pensionamenti degli ultimi professori ordinari che si occupavano di meteorologia, le cattedre di fisica dell’atmosfera sono ormai sguarnite. Una situazione – riflette Grazzini – in controtendenza rispetto all’estero, dove invece s’intensificano le ricerche meteo-climatologiche. E si assegnano cattedre e posti di lavoro, molti dei quali occupati proprio da ricercatori italiani, costretti a fuggire all’estero”.
Nel marzo 2015 l’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, intervenendo in audizione alla Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera, ha affermato che “…dopo un’attesa che parte dal 2000, finalmente siamo vicinissimi all’intesa sul servizio meteorologico nazionale distribuito, che sarà un passo avanti molto importante”. Da allora, sono già passati tre mesi: è iniziata l’estate e la parola “meteo”, come già avvenuto in passato, è una delle più cercate e cliccate online. Ma esperti e cittadini, in attesa di un servizio meteo nazionale, non hanno un riferimento unico cui guardare. “L’atmosfera non ha confini, tanto più regionali. È giunto il tempo – conclude Grazzini – di allineare la meteorologia italiana agli standard dei principali Paesi europei”.