Corsi d’acqua spariti. Diventati depositi di detriti del marmo provenienti dalle cave. Dove una volta scorreva acqua adesso “scorre” pietra. È l’ultima scoperta fatta dal Corpo Forestale dello Stato sulle Alpi Apuane, a Carrara, nell’ambito della maxi inchiesta coordinata dalla procura di Massa Carrara sugli illeciti ambientali alle cave che ha portato il procuratore capo, Aldo Giubilaro, ad aprire un fascicolo per frana colposa e inondazione a carico – in una prima fase – di quattro imprenditori del marmo. Adesso gli indagati salgono a 9.
L’accusa è quella di non aver smaltito, per anni, forse anche decenni, i detriti provenienti dall’escavazione né tanto meno la marmettola, la polvere scarto di lavorazione del marmo, che mescolata all’acqua diventa una fanghiglia bianca capace di far seccare qualsiasi corso d’acqua. Li avrebbero invece abbandonati sistematicamente nei piazzali di cava, o dove capita, contro qualsiasi normativa in campo di rifiuti o di tutela ambientale, e da lì sarebbero rotolati giù nei corsi d’acqua, deviandoli, alzandoli, tappandoli per sempre, provocando continue esondazioni. Come l’ultima del 5 novembre 2014, dove ci furono 450 sfollati e 140 milioni di euro di danni. O come le due del 2012, o come quella del 2003 dove perse la vita anche una donna di 76 anni, travolta dal torrente Carrione in piena. E così a ritroso negli anni.
Il collegamento di questa indagine con quella in corso sull’alluvione diventa quindi più stretto. “Non è un’indagine contro un’imprenditoria che dà lavoro, ma dobbiamo accertarci che le norme vengano rispettate per la tutela dell’incolumità dei cittadini”, chiarisce infatti il procuratore capo in conferenza stampa. E adesso, dall’indagine, emerge quello che, in realtà, era già sotto gli occhi di cittadini attenti e che ilfattoquotidiano.it aveva segnalato: la sorte di corsi d’acqua spariti per sempre sotto strati di marmettola o detriti, diventati un ricordo nostalgico di vecchi escursionisti.
In questa seconda operazione della Guardia Forestale sono state passate al setaccio 4 cave delle circa 110 che insistono nel comprensorio apuano, tutte nel bacino di Torano, piccola frazione sulle colline di Carrara. Le ditte proprietarie sono Poggio Silvestri Marmi, Aldo Vanelli Marmi,Bettogli Marmi, Vanelli Fernando di Vanelli Giorgio & C.. In tutto, con la prima operazione, le cave finite nel mirino della magistratura – per il momento – sono sette. E sono tutte miniere con il marmo più pregiato e costoso di Carrara, a cui fanno capo – più o meno a tutte – due famiglie che insieme detengono la maggior parte dell’oro bianco carrarese: i Franchi e i Vanelli. “Non è una semplice indagine su illeciti ambientali – spiega Carlo Chiavacci, comandante provinciale della Forestale – perché la gestione dei ravaneti (i pendii dove si accumulano i detriti delle cave, ndr) e della marmettola hanno conseguenze dirette sull’assetto geomorfologico e idrogeologico del territorio e sull’assetto idraulico dei corsi d’acqua.