I lavori per l’ammodernamento dell’impianto sono terminati da neanche dieci giorni, ma il petrolchimico di Brindisi continua ad andare in blocco. Così nel pomeriggio di giovedì 2 luglio, la torcia che serve a ‘svuotare’ gli impianti in caso di malfunzionamento è tornata ad attivarsi rimanendo accesa per oltre un’ora con fiamme e fumo visibili fino a 20 chilometri di distanza dal capoluogo pugliese. Una pratica che – denunciano comitati territoriali e alcuni consiglieri comunali – andrebbe limitata al massimo perché potenzialmente pericolosa per la salute. Per questo negli scorsi mesi sono anche stati presentati alcuni esposti in procura. “Ci chiediamo cosa ha sputato nell’aria quella fiamma insieme a fumo nero alto visibile in più giornate consecutive e quali danni possono causare le emissioni nell’aria con i venti sfavorevoli”, si interroga il comitato ‘No al carbone’. Mentre il consigliere comunale di Brindisi Bene Comune, Riccardo Rossi, annuncia che porterà in Consiglio comunale, il prossimo 13 luglio, quattro richieste: “Il fermo degli impianti sino al chiarimento delle problematiche tecniche, la riapertura dell’autorizzazione integrata ambientale dell’Eni Versalis (che opera nel polo brindisino, ndr), la nomina di una commissione tecnica esterna per la valutazione dello stato degli impianti e il potenziamento della rete di monitoraggio dell’Arpa per gli Ipa, gli idrocarburi policiclici aromatici”. Solo una stazione installata a Brindisi, infatti, registra quei valori: “Se quella centralina non è sottovento, nessuno sa quanti Ipa ci sono nell’aria – dice Rossi a ilfattoquotidiano.it –. Quando invece lo è, i dati sono preoccupanti: lo scorso anno, durante l’accensione dell’11 agosto, il valore degli idrocarburi schizzò da 0,3 a 34”  di Andrea Tundo

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