Domenica è il grande giorno. Sì il grande giorno in cui Davide e Golia che stavolta stanno dalla stessa parte, come ho scritto tempo fa, si scontreranno apertamente sul terreno di gioco del referendum indetto da Tsipras, che porrà al vaglio dei greci il seguente quesito: “Dovremmo accettare la proposta di accordo del 25 giugno 2015 presentata dalla Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale, composto da due documenti che formano insieme una proposta unica?”. Tralasciando il fatto che la proposta di accordo alla quale ci si riferisce non è più sul tavolo e che sottobanco continuano le trattative fra alcuni attori per trovare un accordo, domenica sarà davvero il giorno decisivo per la vita o la morte dell’Unione Monetaria Europea o, pensando più in grande, dell’Unione Europea? Anche dopo le parole di Angela Merkel, che ha affermato “Se l’euro fallisce, l’Europa fallisce”, salvo poi correggere il tiro, dicendo che “il futuro dell’Europa non è in gioco”, ho ancora dei dubbi e vi spiego perché.
La Grecia non è tecnicamente in default, sebbene non abbia rispettato la scadenza dei termini per la restituzione al Fondo Monetario Internazionale di 1,6 miliardi il 30 giugno. L’insolvenza sovrana potrebbe essere comunque dietro l’angolo, soprattutto se dovesse vincere il SÌ con un grosso vantaggio rispetto al NO. In quel caso Tsipras, che comunque non si dimetterebbe, avrebbe dei seri problemi a restare in carica. Se in Grecia si dovesse andare a nuove elezioni l’attesa febbrile e incerta sarebbe una catastrofe per tutti.
Gli esiti post-referendari si muovono in un campo di possibilità difficilmente circoscrivibile. Ciò che è certo è che “bisogna continuare a trattare prima e dopo il referendum” come ha detto Hollande, smarcandosi dalla linea dura degli intransigenti. E’ paradossale che sia proprio la Francia, pur trovandosi in una posizione meno rischiosa rispetto a Italia e Spagna, dovuta alla riduzione della propria esposizione di ben 8 miliardi di euro nei confronti di Atene nell’arco del 2012 grazie al mega prestito concesso dal Fondo Monetario Internazionale un paio d’anni prima alla Grecia, a insistere pubblicamente affinché il dialogo non si fermi forse anche grazie allo zampino di Obama. C’è dunque ancora speranza che i grandi sforzi succedutisi negli anni della crescente integrazione non vadano perduti in un sol colpo.
Se il punto centrale del Greferendum, come è stato chiarito da Merkel e Renzi è politico e, come dicono in molti, si tratta di un referendum “europeo” allora occorre ricordare fino adesso su 38 consultazioni popolari su temi europei 29 si sono concluse con esito positivo e 9 con esito negativo. Tra i secondi troviamo i due referendum in Norvegia sull’adesione alla Comunità Europea e poi all’Unione, quello in Danimarca e i due in Irlanda, di cui il risultato fu poi ribaltato dall’esito positivo di tre referendum sullo stesso tema. Vi sono poi stati i dinieghi di Olanda e Francia sulla Costituzione europea nel 2005 e quelli riguardanti l’adesione all’euro di Danimarca e Svezia. Vale la pena ricordare che la Costituzione europea fu approvata per via referendaria da Spagna e Lussemburgo e che gli italiani espressero a larga maggioranza il loro consenso, nel 1989, per un mandato costituente al Parlamento Europeo e che il 67% dei britannici confermò, nel 1975, la membership del Regno Unito. Fra i paesi che non avevano ancora chiamato i loro cittadini ad esprimersi per via referendaria su temi europei c’erano fino ad ora Germania e Grecia. Il referendum, come strumento di democrazia partecipativa nella sua forma consultiva o di democrazia diretta nella sua forma decisionale, non è stato inserito né nella Costituzione europea né nel Trattato di Lisbona.
Dalle esperienze passate si evince come le risposte dei cittadini europei siano orientate a dire SÌ al progetto europeo, come pure testimoniano i sondaggi sulle opinioni del popolo greco, che attestano la loro volontà di rimanere nell’Eurozona e nell’Unione. La corsa agli sportelli degli ultimi giorni non è che la dimostrazione della scarsissima fiducia dei greci in un’eventuale nuova dracma che pure, come ho ripetuto più volte, non sarebbe conseguenza diretta o necessaria del risultato di questo referendum. L’esposizione italiana diretta nei confronti del debito sovrano greco è di 35,9 miliardi, come ha twittato Padoan, per non aprire il capitolo contagio che, al contrario di quanto ha affermato Renzi sul Sole 24 ore, c’è eccome.
Circolano dati sbagliati su esposizione diretta Italia vs Grecia: tra prestiti bilaterali e garanzie (calcoli aggiornati ESM) è €35,9mld.
— PCPadoan (@PCPadoan) 29 Giugno 2015
Gli scenari post-referendari in caso del NO dei greci rischiano di portare le economie dei Paesi europei in difficoltà al tracollo in men che non si dica. Eppure il Greferendum non sarà determinante solo per questo, è l’intero progetto europeo che rischia di subire una nuova durissima battuta d’arresto. Le ragioni dello stare insieme, spesso dimenticate, non riguardano solo la sfera economica, in ballo c’è molto di più. Chi pensa di conoscere il finale di questa epopea sappia che anche se dovesse vincere il NO ad Atene, non sarà probabilmente questa l’ultima parola riguardo alla sopravvivenza dell’Eurozona e tantomeno dell’Unione Europea.