Vincenzo De Luca ha accolto la pronuncia del tribunale civile sulla sospensione del decreto che sospendeva il suo insediamento a presidente della Campania come una vittoria del bene, il trionfo della democrazia, contro il male e cioè le regole fissate da una legge dello Stato sull’incandidabilità a cariche elettive a seguito di una condanna penale.
Il tribunale civile che ha accolto il ricorso, anche se la pronuncia nel merito seguirà il prossimo 17 luglio in un’udienza collegiale che potrà confermare o respingere la pronuncia odierna, ha ritenuto prevalente “il pregiudizio non riparabile” se il decreto non fosse stato sospeso nel caso che la Consulta accogliesse le questioni di incostituzionalità sollevate sulla Severino. E ha posto a fondamento dell’accoglimento del ricorso che consente temporaneamente a De Luca di insediarsi e nominare la giunta l’esercizio del diritto politico di rilevanza costituzionale e di carattere funzionale: respingere il ricorso avrebbe prodotto come effetto immediato nuove elezioni, azzeramento del voto e pregiudizio obiettivo per gli eletti.
Fin qui, rozzamente semplificate, le considerazioni che hanno portato i magistrati civili “a dare ragione” al momento a Vincenzo De Luca, in attesa della pronuncia di merito e del verdetto della Corte Costituzionale.
Un po’ più curiose, se non paradossali le ragioni portate dai legali di De Luca secondo i quali il decreto di sospensione sarebbe illegittimo in quanto la condanna per abuso d’ufficio è arrivata prima, anzi ben prima (il 21 gennaio 2015), dell’assunzione della carica mentre la Severino si riferisce solo alle condanne “sopravvenute”. Evidentemente la Severino non ha tenuto conto che in Italia, e in particolare a Salerno, una condanna in primo grado è uno stimolo irrefrenabile per chi già riveste una carica elettiva (sindaco a Salerno) a candidarsi ad una più consistente (governatore della Campania).
E con questo rilievo da mondo alla rovescia fa il paio quello sulla presunta violazione del principio processuale penale del “ne bis in idem” per cui nessuno può essere processato due volte per lo stesso reato. Solo che non si capisce quale sia l’attinenza con il decreto di sospensione per De Luca che non ha natura né penale, né processuale. Ma soprattutto se uno viene sospeso da sindaco per intervenuta condanna di primo grado e poi si candida a governatore di una regione e poi magari a cariche elettive elettive ulteriori, e la legge che glielo impedisce è sempre in vigore, a quel punto è legibus solutus?
Comunque, al di là dei pregi e dei limiti della Severino, le acrobazie difensive sono ben lieve cosa rispetto a quelle politiche. In primis quelle del Pd per tentare di rattoppare una candidatura che lascia la Campania in una situazione di sostanziale indeterminatezza dopo una campagna elettorale all’insegna dell’opacità, del trasformismo, degli impresentabili con tanto di gogna alla Bindi e dello slogan “meglio condannati che fessi”.
Ma al “caso De Luca” per resuscitare il fantasma di B. sempre protagonista, ma solo nelle inchieste per corruzione da Milano a Napoli, si sono avvinghiati i superstiti di Fi. Insorgono al grido “la Severino vale solo per Berlusconi”, peraltro decaduto dopo una condannato definitiva per frode fiscale, e si dimenticano che grazie allo spacchettamento della concussione ha spianato la strada all’assoluzione di B. per Ruby.