Ho fatto già 5 volte da guida alla mostra di Escher a Bologna, per studenti e colleghi, sempre divertendomi; ogni volta, poi, ho imparato qualcosa da alcuni di loro (che ringrazio). L’opera di Escher è una miniera di spunti per escursioni in ambiti diversi: l’ambiente sociale e artistico del Novecento, la psicologia della percezione, la matematica, l’immaginazione, l’arte.

Escher- RindRaccolgo in questa pagina i molti link indicati qui in grassetto o in italico. La mostra, aperta fino al 19 luglio, proviene essenzialmente da una collezione privata ed è focalizzata più sul primo periodo e sulla percezione che sulla matematica. Degli aspetti artistici ha già parlato sul Fatto un’esperta; io mi limito all’ambito che conosco meglio.

La produzione di M.C. Escher si divide in due fasi: quella grafica e naturalistica fino al 1936, quella surrealista e più affascinante dopo. Il primo periodo risente della sua passione per l’Italia, che ha girato in lungo e in largo e dove ha abitato per anni. Già nei paesaggi aleggia l’inquietudine che lo caratterizza; e già compare la sua ossessione per il rapporto fra rappresentazione e rappresentato: è del 1935 ‘Mano con sfera riflettente’ dove l’oggetto dell’incisione è solo il tramite per guardare in faccia l’autore e curiosare nel suo studio; ma già nel 1920 il ‘Candelabro a St. Bavo’ conteneva una sfera con il riflesso di un piccolissimo Escher. In uno degli Emblemata (1935, rari da trovare in mostra) si vede una pavimentazione regolare, prodromo di molte opere successive.

I disegni ripetitivi, ispirati a Escher dalle sue visite all’Alhambra, sono legati a un teorema di E.S. Fëdorov per cui esistono esattamente 17 tali schemi (gruppi cristallografici piani); ne sono esempi i biglietti di auguri, le Divisioni regolari del piano e moltissimi altri; ghiotta occasione per citare anche le tassellazioni aperiodiche di R. Penrose, buone per una decorazione architettonica e presenti in natura nei quasicristalli. Lo stesso tema s’intreccia con quello, caro alla psicologia della Gestalt, del rapporto fra primo piano e sfondo in Cielo e acqua I – caro al suo maestro S. Jessurun de Mesquita, prima persona che capì il suo valore – e nello stupendo Giorno e notte, capolavoro di simmetria “in negativo”.

Ben tre stand interattivi della mostra sono dedicati a questo tema, su vaso di Rubin, triangolo di Kanizsa e altre illusioni. E qui cito con orgoglio il modello matematico della formazione di immagini soggettive di Giovanna Citti (Università di Bologna) e Alessandro Sarti (che ci siamo fatti rubare da Parigi) efficace nelle sperimentazioni e giustificato neurologicamente. Pavimentazioni e trasformazioni giocano insieme in Metamorfosi II, da gustare pian piano come in un filmato.

La Divisione regolare del piano VI, poi, coinvolge l’infinito: Escher utilizza – senza saperlo – un teorema di convergenza delle serie geometriche (che è quello che garantisce ad Achille di raggiungere la tartaruga); l’infinito compare ancora in Serpenti e soprattutto nei Limiti del cerchio (purtroppo assenti dalla mostra), esempi di geometria iperbolica.

In una sala campeggiano due fusti di letti: uno normale e l’altro assurdo, che però vengono visti uguali da un certo angolo. È l’invito agli oggetti impossibili, introdotti dai Penrose col la loro tribarra e, in arte, da Reutersvärd. Questi disegni paradossali si basano su prospettive plausibili localmente, ma non globalmente: l’analogo artistico del concetto matematico di varietà; sono i celebri Belvedere, con l’incertezza fra interno ed esterno, Cascata col suo moto perpetuo, Salita e discesa con le due file di monaci che salgono senza dover scendere e viceversa: spunto per ascoltare la scala di Shepard, suo analogo uditivo.

I matematici amano Nastro di Möbius II, che illustra il più semplice oggetto topologico non banale, col suo unico bordo e la sua unica faccia; ammirano i disegni che utilizzano poliedri come Stelle (sulla scia di Leonardo e di Dalì) e sono esterrefatti davanti a Galleria di stampe, composizione autoreferenziale in cui Escher realizzò una trasformazione esponenziale complessa, pur non sapendone mezza né di esponenziali né di numeri complessi. Quanto ad autoreferenzialità (trattata egregiamente in Gödel, Escher, Bach) niente batte Mani che disegnano. Ci sono poi suggestioni del tutto diverse come Tre mondi, Pozzanghera e Vincolo d’unione.

Naturalmente la mostra offre molto di più. Se portate dei bambini, noleggiate l’audioguida: c’è un bel programma specifico per loro. Ancora pochi giorni!

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