Sulla scena musicale indipendente italiana, non c’è nome più importante e conosciuto di Giordano Sangiorgi. Patron del Mei, che quest’anno riparte con un nuovo corso dopo vent’anni di successi, Sangiorgi è anche portavoce della Rete dei Festival, Presidente di AudioCoop e co-fondatore dell’Associazione Artisti Italiani, giusto per citare solo alcune delle innumerevoli cose di cui si occupa. Nessuno meglio di lui, dunque, può tracciare un bilancio esaustivo e dettagliato sulla musica indipendente italiana, sulle difficoltà in un periodo di forte crisi e soprattutto su quanto si può e si sta già facendo per rialzare la testa.
Che momento è per la musica indipendente in Italia?
Stiamo preparando il #nuovoMEI2015 che si terrà a Faenza dal 1° al 4 ottobre e che apre il nuovo percorso della scena indipendente ed emergente italiana dopo avere chiuso quest’anno, con una grande Festa alla Pelanda di Roma, il ciclo dei 20 anni del Mei storico nato nella metà degli anni Novanta e che ha rotto il monopolio delle major sul mercato. Con il #nuovoMEI2015 vogliamo fare altrettanto e rompere il monopolio dei talent show e delle piattaforme multinazionali omologate. La crisi economica, l’innovazione tecnologica, il cambiamento dei gusti e dei consumi nell’era digitale hanno modificato il rapporto della nuova musica originale, innovativa, inedita e creativa, del nostro paese con gli appassionati di musica e le giovani generazioni. Se un tempo al posto delle storiche figure del pop italiano trovavamo subito dietro i nuovi guru del rock indipendente tricolore e si faceva la fila per un nuovo disco di un nuovo artista, mentre oggi la fila si fa per l’ultimo modello di iPhone, è evidente che i tempi sono cambiati. Oggi tra le star, oltre ai nuovi talenti che arrivano dal web, troviamo certamente i rapper, con un’ondata che va dal fenomeno di puro intrattenimento all’artista capace di interpretare la protesta dei più giovani, i dj, nuovi musicisti sempre più richiesti e acclamati, una forte ondata di cantautrici e cantautori, spesso riflessa su se stessa per quanto riguarda i testi, ma che avvia un nuovo percorso artistico, anche per motivi economici, spesso tralasciando per un periodo progetti comuni con la propria band, e oltre ai tradizionali comici, per la verità in declino dopo avere spopolato secondo il modello usa-e-getta di Zelig per una decina d’anni, le nuove rockstar: i cuochi. Davanti a tutto questo la nuova scena indipendente ed emergente deve saper trovare nuovamente il suo spazio di visibilità in un paese che, come per tutti quando c’è la crisi, ha fretta e poco tempo per ascoltare musiche innovative, ma tende più a cercare brani rassicuranti e storici, da qui il grande successo televisivo del Festival di Sanremo in stile anni Ottanta di Carlo Conti. Non sarà facile, ma è una sfida che va affrontata. Dopo la sfida di vent’anni fa, vinta a tutti gli effetti da band che si erano affacciate per la prima volta al Mei del tempo, come i Subsonica, i Baustelle, Caparezza, Piotta, Negramaro e tanti altri, arrivati tra i pilastri della nuova musica del nostro paese, ora tocca alla nuova generazione dei Luminal, Nadar Solo, Levante, Zibba, Kutso, Erica Mou, solo per citarne alcuni, prendere il posto che spetta loro nella nuova scena italiana. Certo sarà più facile se le vecchie generazioni segneranno il passo e lasceranno lo spazio sui media a questi nuovi artisti.
Nell’epoca dei talent show che fagocitano tutto il resto, quanto spazio mediatico c’è per le realtà indipendenti?
Paradossalmente meno di trent’anni fa, meno di vent’anni fa e meno di dieci anni fa. I talent, una grande trovata delle major (a proposito lancio un appello alla Rai e alle Tv private perché per la produzione dei progetti musicali dei vincitori dei talent si possa fare un bando pubblico al quale possano partecipare anche le indies e non solo nazionali così da aprire il mercato e non lasciare queste produzioni solo in mano alle major), hanno cambiato il gusto musicale del pubblico (che all’inizio non amava per niente i talent, pensiamo al primo che si affacciò sulla scena su Italia 1, quel Popstar che laureò le Lollipop, oggi totalmente dimenticate) e danneggiato anche la percezione della musica. Pensiamo solo alla discriminazione che per anni hanno subito le band: una battuta che mi piace ricrodare è quella di mia mamma che mi ha chiesto recentemente: “Scusa, ma tu che lavoro fai ora visto che i complessi non ci sono più?”.
Così le major sono riuscite a fare scouting senza più spendere un euro anzi facendo investire la tv sui nuovi talenti e trovandosi la star già pronta solo da lanciare sul mercato senza spese per passare subito dopo ad un altro talent che lanci un nuovo vincitore, passando così da un artista all’altro come in una catena di montaggio del pop senza attenzione alle carriere dei singoli artisti ma capace di fare fatturato. Si pensi a Il Volo, in questo senso. Il gusto così è cambiato nel pubblico generalista, sempre meno attento al nuovo. Servirebbe, come diciamo da anni, un programma nazionale che racconti dei milioni di giovani che in un anno affollano i concerti ai festival estivi e nei club invernali per raccontare una generazione enorme che televisivamente non ha lasciato tracce. Paradossalmente, se si volesse fare una storia televisiva di 20 anni di scena indipendente italiana, fondamentale per la nostra cultura musicale del nostro paese, in Rai non si troverebbe praticamente nulla, se si eslcude il Concerto del Primo Maggio, mentre troveremmo vita morte e miracoli di ogni partecipante dell’Isola dei Famosi: mi sembra evidente la deriva di questa tv degli ultimi vent’anni legata alla pancia del paese, ai suoi più bassi istinti e che si è preoccupata di veicolare un modello secondo cui era più facile avere successo se non eri capace di fare nulla invece di essere innovativo e creativo. Serve un programma con la massima urgenza che ogni giorno racconti cosa fanno le giovani generazioni musicali e racconti con una narrazione nuova il loro impegno a costruire una nuova scena culturale.
Ormai la musica passa soprattutto per il web: tra YouTube e servizi di streaming, cosa può fare la Rete per aiutare la scena indipendente?
La Rete ha fatto molto: ha rotto i filtri e la nuova musica è arrivata direttamente nelle nostre case attraverso il pc. Ma come è successo con le radio e le tv libere della metà degli anni Settanta, dopo una prima fase di totale libertà oggi la Rete è in mano a pochi padroni multinazionali e globali che fanno il bello e il cattivo tempo ma soprattutto non pagano quanto devono i diritti d’autore a chi crea l’opera e non pagano il dovuto agli artisti per lo streaming dei loro brani sfruttandoli al massimo. Serve quindi con la massima urgenza una legge antitrust che spacchetti questi colossi e apra il mercato a nuovi soggetti, serve aprire alla concorrenza anche su queste piattaforme dai paesi dell’est e dai paesi asiatici, serve un motore di ricerca europeo che identifichi e piattaforme europee e nazionali che promuovano unitariamente il made in Italy. Noi da dieci anni proponiamo una piattaforma online pubblico/provato chiamata Volare che metta insieme l’archivio digitale della storia della musica italiana della Discoteca di Stato con le novità del nostro panorama nazionale: sarebbe uno dei siti musicali più visitati al mondo e chi cerca ‘O Sole Mio troverebbe anche l’ultimo lavoro delTeatro degli Orrori con grande beneficio per la nostra promozione di nuova musica italiana all’estero.
Com’è il rapporto tra MEI e istituzioni pubbliche? C’è collaborazione? Cosa funziona e cosa non funziona nell’approccio delle istituzioni al vostro mondo?
Il rapporto della musica con le istituzioni soffre di un passato che ha sempre visto la musica come un elemento commerciale, diverso dal cinema e dal teatro, al quale era sufficiente dare spazi sulla Rai (Sanremo, Disco per l’Estate e così via) per vendere il proprio prodotto come si vendono i saponi. Una mentalità di una certa discografia ancora oggi presente degli Anni Settanta e Ottanta che ha fatto notevoli danni. Quando negli anni Settanta un gruppo di discografici propose di fare in Italia una Legge sulla Musica, la stessa proposta fu bocciata da questi discografici dicendo che la musica era un prodotto da vendere e non aveva nulla a che fare con la cultura: un approccio sbagliato che paghiamo ancora oggi.
Per fortuna, le cose stanno cambiando: il Ministero dei Beni Culturali ha stanziato un fondo straordinario per il jazz, ha attivato la tax credit per le opere prime discografiche e ha rinnovato il Fus aprendo le porte a manifestazioni come il MEI; una Regione come la Puglia ha investito in Fondi per la Cultura valorizzando la creatività e l’innovazione musicale, un esempio che tutte le Regioni dovrebbero seguire, visto che si possono creare posti di lavoro non delocalizzabili legati al turismo, all’enogastronomia, alle città d’arte e alle altre nostre eccellenze sul territorio. L’Emilia-Romagna, che è il territorio dove opero, ha un capitale musicale in tal senso e so che l’impegno del Presidente della regione Stefano Bonaccini vuole andare proprio in questa direzione dal 2016, naturalmente senza creare sacche eccessive di iper produzione assistite. Per il resto credo che oggi nel rapporto con le istituzioni serva una grande unità del settore musicale, cosa che noi abbiamo sempre auspicato, ma che purtroppo abbiamo visto poco realizzata in Italia, pieno come è di protagonismi.
L’anno scorso si era parlato di una chiusura di un ciclo del MEI. A cosa era dovuto quel rischio? Cosa l’ha spinta, poi, ad andare avanti?
Il ciclo dei 20 anni del MEI si è chiuso. L’abbiamo sancito con un libro e con un hashtag che quest’anno dice tutto. Serve un rinnovamento che ritengo indispensabile, infatti oggi al #nuovoMEI2015 stanno lavorando due gruppi under 30, a livello nazionale e locale, che apriranno le porte ai nuovi indipendenti di oggi, mentre dall’altro lato era anche un segnale d’allarme per le istituzioni nazionali perché prendessero a cuore l’unico punto di riferimento – in termini di confronto e stimoli – di tutta una scena che raduna 30mila presenze in tre giorni, con gente che viene da ogni parte d’Italia.
Immagini di avere davanti un ragazzo che vuole vivere di musica. Quale sarebbe il primo consiglio da seguire?
E’ semplice: seguire il percorso musicale solo se si ha un grande passione, abbinata a grande umiltà e spirito di sacrificio, e contemporaneamente se si sente forte l’urgenza di aver qualcosa di nuovo da dire e la voglia di restare sempre aggiornati, con la mente e con il cuore. Tutto qua.