Lobby

Grecia alla vigilia del referendum: dalla disinformazione alle false prospettive. E se mancasse il quorum?

I fronti del sì e del no addossano le colpe del disastro economico-finanziario del Paese all'Europa o alla cattiva gestione interna. Protagonista è l'attività di lobbying. L’unica mossa razionale sarebbe il non-voto: come dire che il re è nudo. Una prova di forza e di indipendenza

A leggere le cronache sembra una guerra di Troia a parti invertite, con i greci nel ruolo degli assediati e un referendum indetto dal loro stesso governo a fare da “cavallo”. Cronache surreali, da cui emergono mille e ancora mille ingerenze e pressioni dirette e indirette nel bel mezzo della campagna referendaria. Una guerra senza esclusione di colpi alla quale partecipa in prima persona chi invece dovrebbe essere super-partes, come il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker che ancora una volta venerdì è intervenuto a favore del “sì”. E a fare campagna elettorale sono addirittura aziende telefoniche greche controllate da azionisti stranieri, come Wind Hellas (nulla a che vedere con la nostra Wind) che in occasione del referendum ha lanciato un’offerta con 1.500 minuti di chiamate gratuite ai clienti che mandano un sms con scritto “nai”, cioè sì. Per non parlare dei sondaggi taroccati, delle parole in libertà di governanti e politici europei, e dell’opera sistematica di disinformazione come quella tesa a minimizzare ad ogni costo l’impatto che l’uscita della Grecia dall’euro potrebbe avere sulle economie e sui conti pubblici europei. In questa disciplina si è distinta venerdì Maria Cannata, l’alta dirigente del ministero del Tesoro italiano responsabile del debito pubblico, che ha contestato le stime di Standard & Poor’s secondo cui l’Italia si troverebbe a dover sopportare un costo di circa 11 miliardi di maggior spesa per interessi. “Si tratta di una stima molto aggressiva – ha detto Cannata – e non capiamo come è stata fatta”. La dirigente, però, si è guardata bene dal fornire cifre e stime del Tesoro.

Altro campione  è il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis che dopo aver affermato nei giorni scorsi che, a prescindere dall’esito, le banche avrebbero riaperto subito dopo il referendum, venerdì sembrava essersi reso conto che aprirebbero per chiudere immediatamente visto che non c’è praticamente denaro: la liquidità ammonta a poco più di 1 miliardo. E la Bce non ha perso un attimo per fare a sua volta campagna elettorale, con il vicepresidente Vitor Costancio che ha affermato che in caso di vittoria del “sì” Francoforte potrebbe “allentare la stretta sui fondi della liquidità d’emergenza”. Se vincerà il “no”, invece…

Intanto il Consiglio di Stato ellenico ha respinto il ricorso delle opposizioni secondo cui il referendum sulla proposta di accordo dei creditori sarebbe incostituzionale e dunque domenica 5 luglio si apriranno regolarmente i seggi e il popolo greco si dividerà votando per qualcosa che sulla scheda referendaria non è scritto: restare o uscire dall’euro, restare o uscire dalla Ue, sedersi al tavolo negoziale più forti o più deboli e mille altri significati di cui governo, opposizioni e creditori hanno caricato questo voto. Una chiamata alle armi – sia da una parte che dall’altra – per quella che si vorrebbe spacciare come la madre di tutte le battaglie e che i cinici allibratori londinesi danno già per vinta (o per persa, a seconda del punto di vista) prima ancora che si combatta.

Ma i problemi delle persone, del popolo greco, sono molto gravi e concreti e non si risolveranno né con il referendum né nei mesi successivi se al centro dell’attenzione non torneranno loro – i greci – e il disastro economico e sociale in cui è precipitato il Paese. Non il governo, con il suo avventurismo, non le opposizioni, che il Paese lo hanno portato al disastro, non l’Europa, la Bce e il Fondo monetario. Solo i greci potrebbero rimettere al centro del negoziato i greci con una mossa imprevista e sensazionale: il rifiuto di combattere una guerra che non porterà alcuna soluzione e amplificherà i disastri del presente. Anche per rispetto del proprio ruolo di elettori e della democrazia (che voto libero è un voto sotto minaccia?) l’unica mossa razionale sarebbe il non-voto con l’obiettivo di invalidare il referendum per il mancato raggiungimento del quorum. Sarebbe come dire che il re è nudo e, al tempo stesso, sarebbe una prova di forza e di indipendenza formidabile da parte del popolo che costringerebbe tutti a tornare al più presto al tavolo negoziale e a iniziare a trattare sul serio. Ma in giro c’è troppa paura e troppa voglia di veder passare il cadavere dell’avversario per fare scelte razionali. I bookmakers ringraziano, perché altrimenti sarebbero i primi a “saltare”.