Tuttavia, io vorrei soffermare anche l’attenzione su un’altra sensazione che si può avere leggendo questo testo: la desolazione. Questo libro, come spiega l’autore nell’introduzione, palesa come l’arte della ruffianeria abbia, nel nostro Paese in particolare, solide radici storiche. Travaglio per offrire al lettore uno spunto di riflessione cita il magnifico ‘Discorso sulla servitù volontaria‘ di Étienne de La Boétie: se i popoli smettessero di alimentare chi gestisce un potere, esso crollerebbe. Un esempio che sovviene è l’imponente statua del re babilonese Nabucodonosor, essa aveva un difetto: i suoi piedi erano di argilla. Siamo noi che possiamo decidere se far crollare il colosso del potere: non esiste alcun impero, regime o mafia che si regga se dal basso il popolo non lo sostiene. Quindi la vera sfida è la consapevolezza. Consapevolezza soffocata dalla paura e dalla comodità a tenere come una pecora il capo chino invece di avere la dignità di tenerlo alto ed essere padroni di se stessi.
I popoli a prescindere dalla élite dominante vanno distratti, lobotomizzati, storditi con programmi Tv e articoli di giornali che non sviluppano una coscienza critica. Il dramma che emerge da quest’opera è che i mass media e la pletora di cortigiani che noi siamo pure costretti a sovvenzionare appartengono al potere vigente. L’attenzione di Travaglio da sempre si concentra in maniera precisa e coerente su quei politici che come ricorda il sottotitolo del libro ci hanno rovinato. Il che è corretto, ma la nefasta realtà è che negli ultimi anni i politici non esercitano il vero potere. Si è costituito un’oligarchia apolide e invisibile che, a differenza di questi teatranti, non necessita di ricevere lodi mielose. E’ un potere sovranazionale che travalica la politica la quale si limita ad eseguire le direttive. Come affermò il poco rimpianto Cossiga, se un tempo si incontravano in un ristorante un politico e un finanziere era il secondo ad andare ad omaggiare il primo, oggi accade l’inverso.
Sta di fatto che il liquido che prevale nel cocktail tricolore del nostro Paese è la bava. Io segnalerei due tipi di bava. Quella descritta da Travaglio che avvalora la mia idea che, pur non generalizzando, l’intellettuale, o presunto tale, sia un po’ come il cane di Pavlov: quando vede un potente saliva per condizionamento. Ma negli ultimi tempi nel nostro Paese sta montando un altro tipo di bava che emerge soprattutto in rete, mi riferisco alla bava rabbiosa. Una rabbia che ha le sue origini in quella che viene definita crisi; essa alimentata da personaggi ignobili che soffiano su di una guerra tra poveri di cui per colpevole ignoranza non conoscono nemmeno le origini. Di indole saremo pure un popolo di lecchini, ma non di razzisti. Il dramma è che l’adulatore può con solerzia trasformarsi in razzista. Il passato insegna. Nel nostro Paese urge incanalare la rabbia verso sentimenti costruttivi e propositivi, dopo il ventennio berlusconiano i pilastri su cui si regge la nostra società sono di polistirolo e vanno subito sostituiti.
Un’altra riflessione che mi è sovvenuta leggendo questo libro è che dovrebbe essere finalmente venuto il momento di porre fine ai poteri verticali e all’accentramento in leader che tanto stimolano le mobili lingue dei cortigiani. Il potere va distribuito il più possibile, purtroppo l’antitesi della degenerazione autoritaria in cui si sta incamminando il nostro Paese.
Invito a leggere ma anche regalare questo libro, magari a quel conoscente che è sempre stato un adulatore di professione. Vedrete che dopo qualche giorno vi urlerà: “Bellissimo! Ho sempre detestato ruffiani e lecchini! Il nostro è proprio un Paese di merda!”.