Sotto la lente delle Fiamme Gialle la posizione di 86 persone le cui pratiche sono state nascoste alla vigilanza della Banca d'Italia dall’ex direttore del Centro fiduciario, lo scrigno che gestiva portafogli miliardari. La prima tranche di inchiesta riguarda 13 milioni scudati in modo irregolare da Berneschi, il secondo fronte tira in ballo nomi noti come l'imprenditore Vincenzo Scalise e l’industriale della frutta Raffaella Orsero
Cade l’impero e cadono i suoi segreti. Negli anni di gestione della “sua” banca Giovanni Berneschi ha accentrato su di sé quasi ogni potere e alla presidenza di Carige ha anche aggiunto il controllo del Centro fiduciario, lo scrigno che gli ha consentito di riportare illegalmente in Italia 13 milioni di euro dalla Svizzera. E ora che la Procura chiede il conto al banchiere, rinviato a giudizio nell’ambito dell’inchiesta sulla truffa ai danni dell’istituto ligure, nei guai rischiano di finire anche i vip che hanno depositato i propri fondi nella cassaforte del gruppo. La Finanza, in particolare, sta esaminando la posizione di 86 persone le cui pratiche sono state nascoste (del tutto o in parte) alla vigilanza della Banca d’Italia dall’ex direttore della fiduciaria Antonio Cipollina, fedelissimo di Berneschi, e dai suoi collaboratori.
Fra le posizioni sotto la lente di ingrandimento delle Fiamme Gialle spunta anche il nome di Sandro Biasotti, imprenditore ed ex presidente della Regione Liguria dal 2000 al 2005. L’ex governatore (non è indagato) aveva depositato presso il centro 53 miliardi delle vecchie lire, provento della vendita della società di trasporti di famiglia alla fine degli anni Novanta, e compare nelle intercettazioni mentre chiede informazioni su possibili ripercussioni. Sul caso Biasotti ha specificato di non aver nulla da nascondere e che l’interessamento era legato alle cattive acque in cui navigava l’istituto di credito. Aveva aderito allo scudo fiscale? “A questa domanda non posso rispondere – ha riferito a tal proposito al Secolo XIX – Devo tutelare la privacy dei miei familiari. Ogni movimentazione è stata comunque svolta sempre nella massima regolarità”. Nella lista dei clienti della fiduciaria ci sono anche i fratelli la moglie Margherita Nelda Sormani, la sorella Oriana, i fratelli Stefano e Marco, la madre Maria Cantini e il cognato Antonio Barba.
La domanda degli investigatori è semplice: perché i vertici del Centro Fiduciario avevano nascosto a Bankitalia quei fascicoli? È quello che ora i magistrati, coordinati dal procuratore aggiunto Nicola Piacente, stanno cercando di capire. La prima tranche di inchiesta, chiusa nei giorni scorsi, riguarda lo scudo fiscale operato da Berneschi, irregolare perché intestò in modo fittizio i capitali alla moglie Umberta Rotondo e alla nuora Francesca Amisano. Oltre al “Magro” sono indagati anche Cipollina, e i suoi sottoposti Gian Marco Grosso e Marcello Senarega.
Il secondo fronte adesso riguarda i detentori delle posizioni oscurate all’Unità di informazione finanziaria di via Nazionale. L’elenco è lungo e comprende nomi più o meno noti dell’economia e della politica. Si va dalle sorelle Livia e Susanna De Angelis, ereditiere farmaceutiche romane che in un anno hanno movimentato 170 milioni di euro (operazioni mai segnalate all’antiriciclaggio) al professor Fulvio Gismondi, ex consulente Confcommercio, condannato a 3 anni nell’inchiesta su Sergio Billé e il patrimonio immobiliare Enasarco. Mentre il deposito effettuato da Vincenzo Scalise, imprenditore nel ramo delle pulizie industriali e vecchia conoscenza di Mani Pulite, vale a Cipollina l’accusa di riciclaggio, perché quel denaro sarebbe stato distratto dal fallimento della società di logistica Transitalia.
Fra i big compaiono gli impresari del mattone di Savona Vincenzo Cappelluto e Franca Roveraro, Daniela Gavio (dell’omonima famiglia di costruttori), e l’industriale della frutta Raffaella Orsero. Al vaglio degli inquirenti ci sono anche le posizioni dell’avvocato Valentina Cuocolo (figlia di Fausto, ex presidente Carige e costituzionalista ferito dalle Brigate Rosse) e del notaio genovese Armando Salati. Il nome di Ernesto Vento riporta a una vicenda di finanziamento illecito che coinvolse Claudio Scajola: Vento è il legale rappresentante della Arco di Imperia, la società sotto inchiesta per la ristrutturazione della villa dell’ex ministro, perché il costo di quei lavori sarebbe stato superiore di 2 milioni a quanto dichiarato.