Entrambe le parti tengono il dito sul grilletto, in una guerra fredda di cui non si intravede la fine. Ue contro Grecia, Bruxelles contro Atene, Troika contro Tsipras. L’infinita crisi greca è cristallizzata fino al referendum con cui domenica i cittadini greci saranno chiamati a dire se accettano o meno “il piano di accordo presentato da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale nell’eurogruppo del 25 giugno 2015”. Dal risultato della consultazione dipenderà probabilmente l’esito della trattativa. Ma le istituzioni europee hanno fatto tutto quanto era in loro potere per evitare lo scenario peggiore, l’uscita della Grecia dalla zona Euro? Lo abbiamo domandato a Riccardo Puglisi, economista dell’Università di Pavia, e ad Andrea Baranes, presidente della Fondazione Culturale Responsabilità Etica della rete di Banca Etica.
L’Ue ha fatto tutto quanto era in suo potere per salvare la Grecia?
Puglisi: “Quando una trattativa si rompe, è difficile stabilire chi abbia le maggiori responsabilità. Dico una cosa di sinistra: le istituzioni europee dovevano capire che il tema della riduzione del debito è fondamentale e dovevano fare di più da questo punto di vista. Dall’altra parte questa forma di salvataggio non può che essere sottoposta a una serie di condizioni, per due motivi: primo perché bisogna evitare che gli stessi problemi si ripetano in futuro, secondo poi perché non bisogna dare un esempio negativo agli altri Paesi. In questo senso, gli impegni di finanza pubblica erano più che sensati: giusto intervenire sul sistema delle pensioni che in Grecia è insostenibile, giusto eliminare le agevolazioni fiscali in eccesso come quelle sulle isole”.
Baranes: “Assolutamente no, questo non è un problema economico, ma politico. In questo momento per salvare la Grecia sono in ballo circa 15 miliardi, ma la Bce ne stampa 60 al mese e prevede di farlo per i prossimi due anni. Non si può davvero dire che si tratti di un problema finanziario. Si sarebbe potuta trovare una soluzione molto tempo fa, se ci fosse stata la volontà. Così come sta comprando i bond, la Bce avrebbe potuto proporre una rinegoziazione delle scadenze: si tiene lo stesso debito nominale evitando il default, ma invece di restituire i soldi tra 6 mesi o un anno Atene avrebbe potuto farlo tra 10 anni. Non lo si è fatto perché è mancata la volontà politica”.
Perché invece di puntare a riavere indietro una parte dei prestiti ma a riaverla con certezza, i creditori continuano a chiedere indietro l’intera somma, sapendo che non riusciranno mai a ottenerla?
Puglisi: “Bruxelles ha fatto in origine previsione macroeconomiche troppo ottimistiche e quindi ha proposto una cura troppo pesante per le reali possibilità della Grecia, che cresce poco, ed è intervenuta con pacchetti di aiuti troppo timidi. In questo modo i grossi capitali vanno via, nessuno fa investimenti, la crescita non si innesca e, al contrario, si genera recessione. L’errore della Troika è stato quello di intervenire con il braccio corto: se si diffonde la convinzione che i pacchetti di aiuti sono troppo timidi, nessuno investe. Serviva un atteggiamento più coraggioso. Gli Stati Uniti lo hanno avuto e hanno sostenuto l’impresa privata, aiutandola ad uscire dalla crisi”.
Baranes: “Se si trovasse una soluzione che va bene a Syriza e che permettesse al governo Tsipras di uscire vincitore, Podemos alle elezioni tra tre mesi prenderebbe la maggioranza assoluta dei voti. Questo le istituzioni europee lo sanno bene ed è una eventualità che vogliono evitare. Dall’altro lato, accettare tout court le richieste della Troika sarebbe inaccettabile per Atene. Nello stesso momento, se la Grecia uscisse dall’euro, sarebbe una sconfitta per la Bce che da 5 anni va ripetendo che la moneta unica è irreversibile. Quindi si va avanti con questa telenovela, creata per salvare i creditori, cioè le banche. Per anni gli istituti tedeschi e francesi hanno prestato allegramente denaro a quelle greche perché conveniva: con quei soldi i greci compravano prodotti tedeschi e francesi. Tutti contenti, finché non è scoppiata la crisi dei subprime e Atene non è riuscita a rifinanziare il proprio debito pubblico. A quel punto le banche sono andate in crisi e hanno chiuso i rubinetti di colpo. Le istituzioni sono intervenute con un piano di salvataggio, il primo da 300 miliardi nel 2010, ma circa l’80% di questi soldi sono diventati una partita di giro: le istituzioni internazionali hanno dato questi soldi al governo greco, che li ha usati per ripagare i debiti con le banche, e quindi il Fondo Monetario e la Bce sono subentrati nel ruolo di creditori. Risultato: le banche sono rientrate di tutti i loro crediti e il cerino è rimasto ai contribuenti: 5 anni fa l’esposizione dell’Italia verso la Grecia era di zero euro, mentre le banche private francesi erano esposte per 80 miliardi, le tedesche per 40-50. Poi la situazione si è ribaltata”.
Come giudica la strategia scelta da Mario Draghi: mettere un tetto all’erogazione dei fondi di emergenza e tenere in vita artificialmente le banche greche?
Puglisi: “La Bce non ha interrotto le misure Ela (fornitura di liquidità di emergenza, ndr), semplicemente non le ha rinforzate. Non ha tolto ossigeno all’economia, è stata la Banca Centrale greca che ha deciso di limitare il prelievo perché il deflusso di depositi non si arrestava, anzi accelerava. Di certo la Bce non poteva continuare a gettare acqua in un pozzo senza fondo”.
Baranes: “Potrebbe fare molto di più. In questo momento la Grecia è l’unico Paese che non può accedere al Quantitative Easing (piano di acquisto di titoli di Stato da parte della Bce con l’obiettivo di far ripartire la crescita dell’Eurozona, ndr) perché ha un rating troppo basso. Ma negli ultimi anni si sono trovati talmente tanti modi per salvare le banche private con iniezioni da migliaia di miliardi di euro, che se si volesse trovare un escamotage per aiutare Atene lo si potrebbe fare. Di certo la Bce non dovrebbe avere tutto questo potere: in Europa abbiamo una Commissione, un Consiglio e organi politici che dovrebbero prendere decisioni politiche. Questo spostamento di competenze è l’emblema del rapporto di forza che c’è in questo momento tra democrazia e finanza“.
Draghi ha più volte affermato che l’euro è “irrevocabile” e “irreversibile”: ribaltando il concetto, vuol dire che se la Grecia esce, l’euro diventa reversibile e crolla l’intero impianto.
Puglisi: “Questo è il motivo per cui è probabile che i greci voteranno sì al piano proposto dai creditori. Certo, si farà tutto il possibile per evitare questa possibilità, ma se la Grecia uscisse l’euro non crollerebbe automaticamente: con elevate probabilità, il sistema resterebbe in piedi. A quel punto si creerebbe un precedente, questo è chiaro. Ma la responsabilità non sarebbe solo delle istituzioni europee, ma anche del governo greco che si è fatto prestare i soldi e non li ha mai restituiti“.
Baranes: “Se la Grecia uscisse dall’euro, sarebbe una grande sconfitta in termini di credibilità per la Banca Centrale Europea e le ricadute potrebbero vedersi sui mercati internazionali. Inoltre molti altri Paesi inizierebbero a porsi delle domande”.
Nel caso in cui la Grecia uscisse dall’euro, l’Italia sarebbe soggetta ad attacchi speculativi?
Puglisi: “L’Italia ha raggiunto l’equilibrio di medio termine dei conti pubblici grazie alla riforma delle pensioni. Anche il governo lo sa, tanto che ha sostanzialmente confermato la riforma Fornero dopo la sentenza della Corte Costituzionale. Comunque in caso di attacchi speculativi, i Paesi verrebbero difesi dalla Bce”.
Baranes: “Per l’Italia non vedo rischi immediati. Ma in teoria può accadere: nel momento in cui si vede che un anello debole esce dall’euro e l’Europa non lo sostiene, allora gli speculatori potrebbero tornare ad attaccare gli altri anelli deboli”.
La decisione di Tsipras di interpellare il popolo greco è una decisione giusta o è una mossa populista?
Puglisi: “Decidendo per il referendum, il governo ha perso credibilità in ogni contrattazione. La Grecia è una democrazia rappresentativa e la prassi vorrebbe che sia il governo, che ha la fiducia del Parlamento, a prendere le decisioni. Dopo il referendum la Troika con chi si accorda? Con il popolo greco? Tsipras avrebbe dovuto chiedere un voto in Parlamento, ma a quel punto avrebbe dovuto fare i conti con la minoranza del suo partito”.
Baranes: “Mossa obbligata, non rimanevano alternative. Tutto ciò che poteva offrire, Atene lo aveva messo sul piatto, dall’altra parte si è risposto con l’intransigenza e con richieste che avrebbero comportato ulteriori sforze per le categorie già duramente colpite”.
Juncker, presidente della Commissione Ue, è intervenuto in tv per dire ai greci di votare sì al referendum. Ha scavalcato la sovranità nazionale.
Puglisi: “Che il presidente della Commissione Ue intervenga può essere inelegante, ma non mi straccio le vesti. Ma gli effetti maggiori non saranno quelli sortiti dall’uscita di Juncker, bensì quelli che scaturiranno dalla decisione presa dal governo di chiudere le banche e limitare il prelievo dai bancomat a 60 euro al giorno. E’ come togliere ossigeno a un essere vivente, sta facendo molto male all’economia e la gente se ne accorge”.
Baranes: “E’ solo l’ultimo caso, che mostra come si contrappongano una decisione di democrazia da una parte e la tecnocrazia che domina in Europa dall’altra. La stessa idea di referendum per le istituzioni europee è inaccettabile. Solo pochi anni fa il governo Papandreou è caduto dopo aver proposto una consultazione su un tema analogo”.
Come e quando finirà il braccio di ferro?
Puglisi: “Se vince il sì, la situazione si riassorbe e Tsipras si dimette. Se vince il no, servirà un nuovo intervento di emergenza o sarà uscita dall’euro”.
Baranes: “E’ difficile che finisca, perché è difficile trovare una soluzione onorevole che consenta sia a Bruxelles che ad Atene di dire ‘abbiamo vinto'”.