"Siamo di fronte ad un grave pericolo - ha detto Beji Caid Essebsi - siamo in stato di guerra". Con questa mossa, esercito e forze di polizia avranno ampi poteri per garantire la sicurezza del Paese. Il capo dello Stato: "La Tunisia ha bisogno di sostegno internazionale"
“Abbiamo l’Isis alle porte, siamo in guerra”. È il presidente della Repubblica tunisino Beji Caid Essebsi a spiegare in diretta tv la decisione di decretare per 30 giorni lo stato di emergenza in tutto il territorio nazionale Il 26 giugno sono stati attaccati due alberghi nella zona di Sousse: l’attacco ha provocato 38 morti e 36 feriti e il paese non ha ancora dimenticato la strage al museo del Bardo. “La Tunisia sta vivendo circostanze eccezionali che necessitano di misure eccezionali. Noi non abbiamo la cultura del terrorismo, è un problema regionale”. In vigore dal 15 gennaio 2011 lo stato di emergenza era stato revocato il 6 marzo 2014. Una revoca, che non precludeva comunque la possibilità di un supporto militare delle forze di sicurezza se necessario, né la prosecuzione di operazioni militari specialmente nelle zone di confine. Saranno chiuse entro domenica tutte le moschee considerate a rischio radicalismo.
Il presidente: “Lo Stato potrebbe crollare”
Essebsi ha sottolineato che “nella vicina Libia ci sono milizie armate, l’Isis è alle nostre porte, siamo in guerra contro il terrorismo, è una lotta che dobbiamo vincere a tutti i costi“. Gli ultimi due attentati, poi, hanno messo il Paese in ginocchio: “Noi abbiamo creduto che l’attacco al museo del Bardo sarebbe stato l’ultimo. Lo Stato potrebbe crollare se dovesse subire un altro attentato come quello di Sousse. Adottare lo stato di emergenza è un mio dovere. Siamo di fronte ad un grave pericolo – ha proseguito – siamo in stato di guerra”.
“Abbiamo sfide economiche da affrontare”
Con questa mossa, esercito e forze di polizia avranno ampi poteri per garantire la sicurezza del Paese. Durante il suo discorso, Essibsi ha ricordato che “abbiamo anche una serie di sfide economiche che dobbiamo affrontare. Il Paese purtroppo si trova in una situazione difficile, una situazione che può essere superata riuscendo ad attirare investimenti dall’estero e attirare anche investimenti da parte di imprenditori nazionali. Questi investimenti – ha precisato – potranno però esserci soltanto se verrà creato il giusto clima”.
Chiesto il sostegno internazionale
“La Tunisia ha bisogno di sostegno internazionale poiché tutti i paesi sono preda del terrorismo. Gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna, l’Unione europea e l’Algeria sostengono la Tunisia contro il terrorismo”. Essebsi ha detto che i sit-in e le manifestazioni hanno influenzato la stabilità del paese e indebolito il governo specie gli scioperi nelle miniere di fosfati nel sud. Essebsi ha ricordato che la situazione in Libia influenza enormemente la Tunisia, dichiarando che il terrorismo e le armi provengono dal vicino Paese nordafricano. “Le nostre frontiere con la Libia sono lunghe 500 km, è difficile per noi controllarle con mezzi che non possediamo. La Libia non ha un vero e proprio Stato, ma ci sono delle milizie armate, Daesh (Isis) è alle nostre porte”.
Il premier alla Bbc: “Risposta polizia è stata lenta”
Dopo la strage di Sousse ci sono state alcune operazioni di polizia, ma solo ieri alla Bbc il premier tunisino, Habib Essid aveva dichiarato che la risposta della polizia antiterrorismo tunisina all’attacco ai turisti sulla spiaggia di è stata “tardiva e lenta” e “ciò costituisce un grosso problema”. Inoltre tutte le moschee che sono fuori dal controllo dello Stato in Tunisia saranno chiuse entro domani, domenica 5 luglio.
Diciassettesimo giorno di Ramadan con rischio attentati
La giornata odierna, secondo gli esperti, si presenta come fortemente a rischio per quanto riguarda possibili attacchi terroristici. Il 4 luglio infatti corrisponde nel calendario musulmano al diciassettesimo giorno del mese santo del Ramadan, data nella quale si commemora una delle più famose battaglie condotte dal profeta Maometto contro i miscredenti, quella di Badr, nell’anno II dell’Egira.
Nell’immaginario jihadista morire, armi in pugno in questa giornata, specie se uccidendo miscredenti, significa ottenere premi supplementari nell’aldilà. E la storia recente della Tunisia ce lo fa tristemente ricordare. Il 29 luglio 2013 i jihadisti uccidono in un imboscata nel momento rituale della rottura del digiuno, al calar del sole, 9 militari nei pressi del monte Chaambi, zona rifugio dei terroristi, non lontano dal confine algerino.
L’anno seguente il 16 luglio terroristi della brigata Okba Ibn Naafa uccidono 14 soldati e ne feriscono altri 20 alla stessa ora e sempre nei pressi del Monte Chaambi, a due check point nell’area di Henchir. Sarà forse per scaramanzia, suggeriscono alcuni media locali che l’ambasciata degli Stati Uniti a Tunisi abbia deciso di festeggiare il 4 luglio con due giorni di anticipo, con una cerimonia ad inviti per le autorità presso la propria sede diplomatica.