Più gentile della solitudine (traduzione di Laura Noulian, Einaudi), il suo terzo libro, è un romanzo sulla memoria. In parte ambientato nella Pechino del 1989, ancora scossa dalla strage di Tienanmen, e in parte nella spietata Cina contemporanea e negli Stati Uniti, racconta la storia di tre amici legati da una tragedia che ha segnato la loro adolescenza. I continui sbalzi temporali e spaziali sono affondi nelle loro vite, che prendono corpo poco a poco, modellate da una narrazione pacata, fondata sulla riflessione. Il passato e il presente si guardano in faccia continuamente, e in questo scambio si nasconde il grande segreto che sta dietro l’infelicità di tutti (“Un segreto che non si rimargina mai trasforma una persona, anche quella che ci è più vicina, in un estraneo, o, peggio, in un nemico“).
Ormai vicini ai quaranta, Boyang, Ruyu e Moran conducono esistenze molto lontane fra loro. Boyang è un imprenditore di successo che vive a Pechino, circondato da ventenni frivole e ciniche, che hanno aspirazioni esclusivamente materiali. Ruyu si è trasferita in California, dove si è costruita una vita al riparo dalle emozioni: mimetizzata come un animale spaventato fra le abitudini degli altri, desidera solo evitare la ricerca della felicità per evitare sofferenze. Commessa in un negozio di oggetti inutili, fidata baby sitter e tutto fare, si è circondata di gente con cui non ha niente da spartire. E Moran, emigrata in uno sperduto paese del Massachusetts per inseguire un posto in un’azienda farmaceutica, si accontenta di un paio di matrimoni poco entusiasmanti, accettati più che altro per ottenere la green card, e poi della solitudine. In questo vuoto, che accomuna il bilancio di tutti e tre, si apre un gorgo peggiore, che ha radici più profonde e più lontane: la morte di Shaoai, la loro comune amica, avvelenata quando aveva sedici anni. Ma da chi dei tre?
Il mistero è solo un pretesto per indagare impietosamente sulla forza del passato, che ci segue silenzioso ovunque. La memoria, minacciosa, aspetta al varco chi la rifiuta, consapevole del suo potere (“Se dimenticare è l’arte di cancellare una persona, un luogo, dalla propria storia, Moran sapeva che non l’avrebbe mai padroneggiata. Lei, se mai, era come un artigiano solerte, e con incessante vigilanza praticava un’arte minore, quella di non guardarsi mai indietro e di non pensare mai al passato“). La memoria è perfino capace di beffarci, se la sfidiamo. Perché le persone non spariscono dalla nostra vita, al massimo “tornano sotto mentite spoglie”. E Shaoai la ribelle, espulsa dall’università per ragioni politiche, perché non dimentica i morti di Tienanmen, a sua volta non si lascia dimenticare.