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Referendum Grecia, la speranza del No e del coraggio di Tsipras

Oggi la Grecia decide il suo futuro e quello dell’Europa. Visto che in queste ore, da più parti e strumentalmente, si cerca di confondere le acque, è bene tener presente tre dati di fatto:

1) Cinque anni di feroci misure di austerità imposte dall’Ue alla Grecia non sono serviti. Basti considerare anche solo il tasso di disoccupazione, passato dal 12,6% del 2010, al 27,3% del 2013 (più del doppio, con la cura della Troika), al 27,5% del 2014. Quando Tsipras a gennaio 2015 ha vinto le elezioni la disoccupazione era ancora al 25,7%.

2) Tsipras ha vinto le elezioni, in un paese ridotto allo stremo, promettendo di mettere fine all’austerità. La coerenza – che certo non è un valore per la politica italiana – lo è per Tsipras che, coerentemente, è andato avanti a dire no ai sacrifici chiesti dall’Ue in cambio degli aiuti economici (quei sacrifici che oggi, per indorare la pillola, si chiamano “riforme” e sono: innalzamento dell’età pensionabile, aumento dell’Iva, abolizione degli alleggerimenti fiscali per le isole greche…), e dopo il fallimento dei negoziati, altrettanto coerentemente, ha deciso di interpellare con il referendum il popolo sulle condizioni imposte dai creditori. Non solo chi l’ha votato, ma anche quel 64% che non l’ha fatto, sottoponendosi in sostanza a nuove elezioni e al rischio che prevalga il sì, nel qual caso, ancora coerentemente, si dimetterà. Come ha detto il Premio Nobel per l’Economia Krugman (non esattamente un principiante): “Se ci sarà la Grexit, sarà perché i creditori, in particolare il FMI, l’hanno voluto”.

3) Il terzo dato di fatto riguarda l’Europa, che si dimostra ben peggiore di quello che ci eravamo immaginati. Non solo perché ha fatto saltare il negoziato all’annuncio del referendum, quasi temesse la democrazia, ma perché rinnega i suoi valori fondanti, che sono anche “la solidarietà, la comprensione, il rispetto reciproco”. Quella che abbiamo di fronte è un’Europa che c’è solo quando di mezzo ci sono i soldi (la Merkel ha ragione a dire “Se fallisce l’euro, fallisce l’Ue”, visto che appare reggersi solo sul denaro) e quando si tratta di imporre agli stati membri sacrifici: tagli alle pensioni, agli stipendi e ai diritti; ma che non c’è quando si tratta di imporre agli stessi stati membri l’accoglienza di quote di quei 40mila profughi approdati sulle coste italiane e greche, come ha dimostrato il fallimento del recente Consiglio Europeo, che non ha previsto alcuna obbligatorietà dell’accoglienza.
“Ce lo chiede l’Europa” vale solo quando si deve tagliare ai pensionati, non quando si deve accogliere chi fugge dalle guerre, col risultato che a rimetterci sono – in entrambi i casi – i più deboli.

Tre dati di fatto incontrovertibili, che non possono non farci guardare oggi alla Grecia con speranza: con la vittoria del no e con la dignità, il coraggio e la coerenza del governo Tsipras (che ci riconcilia con la politica), la Grecia può tornare a essere la culla della cultura europea e di una nuova Europa.

P.s.: quanto alle responsabilità dei governi greci precedenti: agosto 2011 ero in vacanza in Grecia, in un albergo a 60 Km da Atene. Nella hall notai un paio di uomini vestiti di tutto punto ma con le pistole alla cintura. Chiesi al concierge: il premier Papandreou aveva affittato lì vicino una mega villa da 5mila euro a notte e veniva a nuotare in quella spiaggia seguito da 30 uomini di scorta. Mentre il suo paese agonizzava.

P.p.s.: quanto al premier Renzi, che voleva puntare i piedi in Europa, che avrebbe potuto farlo come e con Tsipras, che salutò la sua vittoria alle elezioni a gennaio come “speranza contro la crisi”, be’, ora l’ha scaricato e si schiera con Bruxelles. Ça va sans dire.