La vera battaglia per cambiare l’Europa comincia ora. La larga vittoria del no all’austerity in Grecia rappresenta l’inizio ufficiale di un conflitto politico-economico il cui esito è tutt’altro che certo. Ma dopo aver visto all’opera tanti leader nazionali pronti a farsi eleggere dicendo che Bruxelles doveva mutare registro e che poi, alla prova dei fatti, non facevano nulla perché questo avvenisse è difficile essere scontenti. Finalmente da oggi c’è un Paese che ci prova. Dopo aver dato la voce ai cittadini.
I rischi sono ovviamente elevati. Nell’immediato la permanenza di Atene nell’euro è in mano alla Bce di Mario Draghi. E soprattutto solo la Bce può evitare che la festa per la vittoria del no si trasformi subito in un tracollo economico e sociale.
Le banche greche hanno bisogno di soldi liquidi per tamponare la corsa ai bancomat e agli sportelli (quando e se riapriranno). Nei mesi scorsi, dopo averle sottoposte a un test, proprio la Bce ha dichiarato che si tratta di istituti solvibili. Sarebbe quindi bene che la Bce si comportasse ancora una volta da prestatore di ultima istanza dando loro una mano per superare la crisi dovuta alla penuria di denaro cash. Solo così è possibile pensare che ci sia il tempo sufficiente per riprendere le trattative tra governo di Atene e eurogruppo e arrivare a un accordo.
Del resto era stato proprio Draghi a affermare il 26 luglio del 2012 che la Bce avrebbe fatto “whatever it takes” per preservare l’euro. Quella promessa, assieme all’acquisto dei titoli di Stato (il famoso Quantitative easing), ha fatto crollare lo spread. Sfidare una banca centrale disposta a fornire liquidità illimitata, non è infatti mai un’operazione intelligente. Ma se il “whatever it takes” si rivela una boutade, la situazione può all’improvviso cambiare. In tutta Europa.
Accanto alla partita delle banche c’è poi quella sul debito dello Stato.Senza infingimenti proprio il giorno del referendum il Sole 24 ore riportava in prima pagina una verità nota da anni: quel debito è carta straccia. Non c’è nessuna possibilità che, in queste condizioni, i 300 e passa miliardi di prestiti vengano restituiti. Anche se da domani venissero tassati (come si dovrebbe fare) gli armatori o aumentasse l’Iva, la situazione non cambierebbe di una virgola.
Discutere sui torti e le ragioni di debitori e creditori è dunque un esercizio interessante, ma non serve per risolvere il problema. Se gli altri Paesi vogliono che la Grecia resti in Europa, non possono che procedere a un taglio radicale del suo debito.
L’alternativa è il fallimento dello stato ellenico (per ora considerato semplicemente moroso) e la creazione di una nuova valuta. Con il rischio (o meglio l’auspicabile eventualità) che nel giro di qualche anno la Grecia si riprenda da sola, dimostrando così che si può davvero farcela fuori dall’euro. Non un gran risultato politico per tutti quei governi che impongono ai loro cittadini sacrifici di ogni tipo sostenendo che non esiste altra strada.
Ovviamente nessuno è in grado di sapere come andrà a finire, nel medio periodo, questa terrificante partita economica (nell’immediato le turbolenze e le difficoltà sono inevitabili). Quello che invece si può e si deve dire è che la scelta dei greci è stata assolutamente democratica. È stata una lezione di libertà che arriva da un Paese dove un’austerità sbagliata ha portato alla drastica riduzione degli stipendi e a un taglio insopportabile della sanità pubblica.
A votare in massa per il no sono stati per primi i giovani. Cioè quei cittadini che in Grecia, come in Italia, Spagna o Francia, sono nei fatti molto più europeisti dei loro genitori. Perché spesso hanno avuto esperienze di studio o lavoro all’estero, perché in molti casi hanno viaggiato, perché parlano più lingue. Giovani per i quali l’euro è l’unica moneta che hanno davvero conosciuto. Cittadini che non vogliono dire di no all’Europa, ma la vogliono diversa. Solidale, inclusiva, giusta. Come la volevano i padri fondatori. Sarà il caso che il prossimo eurogruppo ne tenga conto. Dimostrare pragmatismo è l’unica cosa saggia da fare. Perché il vento Greco da domenica 5 luglio soffia impetuoso sui palazzi del Potere di tutte le capitali del vecchio continente. E far fuori i greci, riducendoli alla fame, non servirà a fermarlo.
Articolo aggiornato dall’autore alle ore 9 di lunedì 6 luglio 2015