Scesero in piazza per partecipare a uno sciopero generale, si ritrovarono bersaglio di una raffica di colpi, sparati dalla polizia ad altezza uomo. Era il 7 luglio del 1960, quando nell’allora piazza Cavour di Reggio Emilia le forze dell’ordine uccisero 5 manifestanti, ferendone altri 16. Oggi a 55 anni di distanza un documentario ricostruisce i fatti di quel pomeriggio, attraverso immagini e materiali inediti dell’epoca, insieme alle voci dei sopravvissuti e dei parenti delle vittime. Si chiama “Il sole contro”, dove il sole è il simbolo dello Stato. Sarà presentato e proiettato in anteprima all’Arena Stalloni di Reggio Emilia lunedì 6 luglio, in occasione dell’anniversario. L’obiettivo è “dare più ampio ampio respiro ai fatti del 7 luglio che, nella loro tragica unicità, hanno segnato un momento cruciale nella vita di questo Paese, e ricordare i morti di quel giorno, portarne avanti la memoria, chiedendo che giustizia sia fatta e che vengano riconosciuti i colpevoli”.

Il lavoro è firmato da Giuliano Bugani, ex metalmeccanico e sindacalista Fiom con la passione per il documentario, ed è prodotto dalla casa editrice Bebèrt e da Indyground film, collettivo nato nel 2013 specializzato nella realizzazione di “progetti audiovisivi di informazione alternativa e documentaristica sociale”. Il progetto sull’eccidio di Reggio Emilia è frutto di un percorso travagliato, ed è nato grazie ai fondi raccolti sulla piattaforma online BeCrowdy e nelle cene di autofinanziamento nei circoli Arci e nei centri sociali. “Abbiamo cominciato a lavorarci nel 2013, facendo le prime interviste per il trailer – racconta il regista Bugani – poi però trovare i finanziamenti si è rivelato difficile e così siamo stati costretti a sospendere il progetto per 6 mesi. La svolta è arrivata quando abbiamo scommesso sul crowdfunding: abbiamo trovato molti cittadini e associazioni interessati al progetto che ci hanno dato una grossa mano. Anche l’Istituto Gramsci di Bologna ha contribuito mettendo a disposizione materiale filmico e fotografico inedito”.

Il risultato è un lavoro di ricostruzione che riporta indietro nel tempo di oltre mezzo secolo, in un’Italia uscita dalla guerra da solo 15 anni, e dove da poco si è insediato il governo Tambroni, con l’appoggio determinante del Movimento sociale italiano. Un periodo costellato di proteste di piazza e scontri con la polizia, anche per la scelta della città di Genova (medaglia d’oro per la resistenza) come sede del congresso dell’Msi. Anche a Reggio Emilia pochi giorni prima c’è stata una manifestazione, finita con dei tafferugli con le forze dell’ordine. Il 6 luglio la Cgil decide di proclamare lo sciopero cittadino, e dà appuntamento al pomeriggio del 7 nella Sala Verdi di Reggio Emilia, dato che la prefettura ha vietato assembramenti nei luoghi pubblici. Il giorno dopo però i manifestanti sono migliaia, impossibile da ospitare tutti in un locale da 600 posti. E così un gruppo di loro si raduna fuori, e si mette a cantare canzoni partigiane davanti al monumento ai caduti.

In poco tempo scoppia il caos. Arrivano decine di camionette, si attivano gli idranti, partono i lacrimogeni. Insieme a quelli anche colpi di mitra, di fucile, e di pistola sparati ad altezza uomo. Rimangono a terra cinque uomini, alcuni partigiani, tutti hanno la tessera del Pci in tasca. Il più vecchio ha 41 anni, il più giovane 19, si chiama Ovidio Franchi ed è un operaio. In piazza con lui c’è anche suo fratello minore, Silvano, che nel documentario riapre una ferita mai rimarginata. Ma le voci sono tante. “Uno dei racconti più forti è quello di Spartaco Giampellegrini: aveva 20 anni allora, era di fianco a Ovidio e lo vide morire. Dopo la strage abbandonò Reggio Emilia e andò a vivere fuori perché il ricordo era insostenibile. Tornò solo molti anni dopo, per una cena di quartiere, e lì si riabbracciò con Silvano, il fratello di Ovidio. La sua storia è struggente e crudele”.

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