Le colonne di profughi ed immigrati insieme con la crisi greca ci stanno rudemente ricordando che la politica è, innanzitutto, “estera” e riguarda il fare i conti col mondo per non farsene strapazzare. Constatazione contro natura, ammettiamolo, per una democrazia mediatica e fusa con lo show business, concentrata sulle telenovelas ad uso interno: le tasse, la caccia al disonesto di turno, i politici che mangiano e quelli a dieta e via guardandosi l’ombelico.
Ecco perché ieri sera, durante la “maratona di Atene” (ottimi il 7,5% di share in prime time e il titolo che da anni il Mentana delle interminabili dirette teneva in tasca) la realtà ha fatto capolino con difficoltà: tutti a parlare del referendum come “festa della democrazia” o, quantomeno, come manifestazione della volontà del popolo greco (ma cosa diremmo se, in una escalation di missili referendari, Merkel, Hollande e Renzi convocassero un referendum per sapere cosa ne pensano i loro elettori di prorogare il debito greco?); tutti a fare il conto della serva per misurare quanto ci si rimetterebbe da un lato con la “grexit”, dall’altro con nuovi prestiti per sventarla; e tutti a domandarsi e a spiegarci le difficoltà del polacco, dello slovacco e dell’estone a veder dirottare altri quattrini verso Atene.
Un parlare surreale che ci induceva a fantasticare su un ipotetico 1989 in cui, caduto il Muro, Kohl avesse interpellato i tedeschi dell’ovest prima di concedere il cambio uno contro uno dei loro marchi contro quelli farlocchi dell’est; o se si fosse prospettato ai tedeschi dell’est di accettare o respingere quindici anni di demolizione del loro mondo in vista di un diverso e progressivo sviluppo sul modello del capitalismo renano. E vedevamo già, da una parte e dall’altra, la corsa a cazzuola, mattoni e calcina per riedificare il muro nel giro di una notte. In poche parole, la riunificazione tedesca c’è stata perché la politica ha tirato diritto prendendosi le sue responsabilità, a costo, come avvenne per Kohl, di perdere il posto, né più né meno come accadde al Churchill vincitore della guerra o al Temistocle reduce dalla vittoria di Salamina.
Questioni del genere incombono ora sugli incontri inter europei che serratamente si svolgeranno già da oggi. Il tema è tutto qui: affrontare, anche nei media, la crisi greca come una questione politica o continuare a baloccarsi con le colonne del dare e dell’avere? Costruire un ”Impero Europeo” (chiamatelo come volete: federazione, super stato, etc, etc) o tormentarci con una moneta senza impero e lasciare a se stesse le sponde greche e gli arcipelaghi che si distendono fino a lambire il disastro post imperiale del Medio oriente? Ove la conclusione, come ci pare ovvio, fosse per il “sì” (nai, yes, oui, ya, etc), ci sarebbe poco da badare a spese e molto da scontentare in casa. Come accade quando ci sono di mezzo questioni che in altri tempi avrebbero già visto lo scatenarsi di conflitti armati. Quel che è certo è che stavolta (per non farci mancare nulla mettiamoci anche la questione dell’Ucraina) i capi di Governo dovranno prendersi la responsabilità del buonsenso. E spiegarlo in prima serata per non perdere il consenso.