di Dino Lupelli
fondatore di Elita
Ho cominciato la mia avventura professionale nei live club e alle feste dell’Unità della mia città natale, Bari, mosso da quell’entusiasmo che ti anima nonostante il lavoro da fare sia troppo e i guadagni troppo risicati. L’ho fatto pensando di far bene a me stesso, e l’ho fatto cercando il più possibile di fare qualcosa di bello anche per gli altri. Erano gli anni Novanta e a Bari si stava bene da un punto di vista musicale. All’inizio era il classico hobby da universitario che però ti permette di renderti indipendente e ho continuato a fare ciecamente questo “mestiere” anche dopo l’Università, anche se allora chiamarlo mestiere era un azzardo, perché tra famiglia e amici in pochi credevano che “fare feste ed organizzare concerti” potesse mai diventare una professione. I fatti gli davano ragione: i pochi professionisti “non musicisti” erano quasi tutti riciclatori di denaro, arruffoni, figure che tra il losco e l’improvvisato erano ben descritte dall’epiteto un po’ offensivo di impresario.
A un certo punto non sono più riuscito a tornare indietro, ho scoperto di non aver più tempo per inseguire altre carriere o per cercare di rimanere lontano dal suono acre di un sound-check e dall’aria tesa di un backstage eppure ho continuato a cercare una strada che non mi facesse tradire il mio primo amore: volevo lavorare nel mondo della musica generando progetti interessanti e belli, cercando di influenzare i gusti e i consumi musicali di chi mi stava accanto, modificare l’habitat per sentirmi più a mio agio. Oggi vivo di musica, così come 25 anni fa e quindi devo ammettere che la musica è il mio lavoro. Non sono un musicista né un deejay, mai lo sono stato ne lo sarò. Per me la musica è un fatto serio e non riesco proprio ad ascoltarli i miei passaggi fuori tempo. Eppure la musica è il mio lavoro. Col tempo sono sempre meno solo e al mio fianco ci sono sempre più professionisti, consapevoli di esserlo: non solo imprenditori ma anche direttori artistici, tecnici, addetti al marketing e producer. Con il tempo è cambiato anche il mercato, e il gioco si è fatto più serio, su ogni progetto cominciano ad essere coinvolti esperti di impatto ambientale, ingegneri specializzati in certificazioni di sicurezza, persino gli esperti di usability.
Il mercato si allarga non tanto e non solo in termini quantitativi ma anche perché richiede molta più qualità, innovazione, professionalità. Da imprenditore non basta più scommettere sul cavallo giusto, quello che ti farà incassare tanto al botteghino magari spendendo il meno possibile, ma costruire delle strategie che reggano il peso delle crisi, degli insuccessi, costruire degli staff che sappiano fronteggiare le più diverse sfide, stare sul mercato seguendone i mutamenti ma anche cercando di anticiparne le tendenze. È questo passaggio dalla passione alla professionalità che tante volte mi pesa, perché ti fa sentire lontano dalle motivazioni iniziali, da ciò che ti ha spinto ad intraprendere il cammino, ma poi mi rallegra vedere come nonostante siano aumentate la complessità ed i rischi, nonostante si passi sempre meno tempo ad ascoltare la musica e sempre di più a scrivere contratti o elaborare budget, fare l’imprenditore mi permette di affrontare sfide sempre più importanti, incidendo sempre più sull’habitat che mi circonda. Dare lavoro e costruire qualcosa di importante insieme a tanti giovani appassionati è poi un risultato ineguagliabile, una soddisfazione imparagonabile al più fruttuoso dei concerti. La musica è lavoro, ma è il più bello che potessi mai immaginarmi di fare.