Dal carcere un boss della camorra e il fratello pianificano una spedizione punitiva contro Nello Trocchia, cronista campano e collaboratore del Fatto. "Sappiamo dove lavora". La conversazione viene intercettata il 10 giugno e subito scatta l'informativa alla Procura Antimafia. Ma a distanza di un mese non viene disposta alcuna misura di protezione. Salgono così a 29 i giornalisti minacciati a giugno, sono 206 dall'inizio dell'anno. Solidarietà da Libera e Ossigeno per l'informazione
Si aggiunge un altro nome al lungo elenco dei giornalisti minacciati. E’ quello di Nello Trocchia, cronista campano autore di libri-inchiesta su mafie e corruttele e collaboratore del Fatto Quotidiano, de In onda su La7 e dell’Espresso. Proprio per un articolo sul fattoquotidiano.it il giornalista è finito nel mirino di un boss condannato per camorra che viene intercettato mentre parla con suo fratello, che sta fuori del carcere. Il dialogo captato dalle cimici lascia pochi dubbi sulla volontà dei due di punire in maniera esemplare il cronista, reo di aver fatto scattare le indagini sul gruppo criminale: “A quel giornalista gli devo spaccare il cranio e dopo mi faccio arrestare”, dice il fratello. Ma la storia non finisce qui.
I militari registrano le minacce il 10 giugno e subito inviano un’informativa riservata alla Procura antimafia di Napoli. Per un mese però, incredibilmente, nulla succede e il giornalista a tutt’oggi non ha ricevuto alcuna misura di protezione. La questione si fa delicata. La procedura volta a garantire un’azione di tutela è ben collaudata e solitamente tempestiva. I suoi passaggi sono attentamente codificati: la procura invia la nota degli investigatori alla procura generale, che a sua volta invia la documentazione in Prefettura. A questo punto il prefetto dovrebbe convocare il Comitato per l’ordine e la sicurezza, l’organo, cioè, che decide eventuali misure da adottare per la tutela della persona “esposta a rischio”.
Ma qualcosa, evidentemente, non ha funzionato. Sono passati quasi trenta giorni e nulla si è mosso. Da quanto si apprende la procura, a distanza di qualche giorno, avrebbe effettivamente inviato alla Procura generale il fascicolo ma da lì in poi ne sono perse le tracce. Dalla Prefettura, contattata da L’Espresso, non filtrano dettagli e risposte. Quella ufficiale è che “ciò di cui si discute nei comitati dell’ordine e la sicurezza è materia riservata”. Di fatto, non confermano né smentiscono l’arrivo dei documenti. Quello che è certo, però, è che al momento nessuna misura a protezione del giornalista è stata presa. A dire il vero neppure è stato informato ufficialmente di quanto i due intercettati meditavano di fare: una spedizione punitiva in piena regola.
L’informativa riporta infatti un passaggio che esplicita le intenzioni dei due sodali: nei loro colloqui sostengono infatti di avere “individuato” il luogo di lavoro di Trocchia e che quindi potrebbero agire senza problemi. Per questo motivo i militari dell’Arma definiscono le frasi captate dai microfoni come “esplicite minacce rivolte al giornalista del Fatto Quotidiano”. Di più, al momento, non si sa.
E’ certo invece che con il nome di Trocchia si allunga ancora l’elenco dei giornalisti sotto schiaffo delle minacce di ritorsione. Un elenco ormai sterminato che porta a dubitare della possibilità stessa di esercitare la professione giornalistica e tutelare fino in fondo l’esercizio della libertà d’informazione. Se n’è parlato, e non è un caso, pochi giorni fa in Senato, in una conferenza internazionale dal titolo emblematico: “Proteggere i giornalisti, conoscere le verità scomode”.
Nell’occasione sono stati aggiornati i dati sui cronisti nel mirino e le notizie oscurate: tra il 2006 e il 2014 sono stati registrati 2.300 casi accertati di violenza, con una stima di altri fatti che eleverebbe il numero a circa diciottomila episodi intimidatori. Solo nei primi sei mesi dell’anno il Centro Europeo per Libertà dell’Informazione di Lipsia (ECPMF) ha contato 206 minacce ai danni dei giornalisti italiani. Ventotto sono quelle censite nel solo mese di giugno. Più una, per la quale la risposta dello Stato, per ora, segna assenza ingiustificata. “Continuerò a fare il mio lavoro, senza eroismi o vittimismi”dice Trocchia. A lui, la solidarietà di tutta la redazione.
“Esprimiamo la nostra vicinanza concreta a Nello Trocchia e auspichiamo che le autorità competenti in tempi brevi diano risposte concrete per garantire sicurezza al giornalista minacciato”, scrive Libera in un comunicato. “Proteggere i giornalisti significa proteggere la democrazia del Paese: ma questa non è affatto un dogma, bensì è la continua e instancabile ricerca della verità”. Secondo la rete di associazioni antimafia fondata da don Luigi Ciotti, “non c’è niente di più orribile dell’isolamento e del vivere con l’incubo della paura. Ogni tentativo di intimidire chi lavora per garantire la libera informazione va fermamente respinto e condannato. Ecco perché diciamo a Nello Trocchia, non sei solo, siamo con te”.
Solidarietà anche da Ossigeno per l’Informazione, che chiede che “la Prefettura e la Procura Generale di Napoli adottino con la massima urgenza le più idonee misure di protezione di loro competenza”.
Aggiornato dalla redazione web alle 15,30